Continua il forum di Tuttoscuola in occasione dell’apertura del nostro secondo canale tematico, quello dedicato alle scuole paritarie. Abbiamo colto l’occasione per chiedere ai partiti in Parlamento lo stato dell’arte dell’istruzione non statale. Per fare in sostanza il punto della situazione: cosa va, cosa non va, i progetti, le speranze…La prima puntata del dossier ha visto come protagonista il Partito Democratico, e in particolare l’onorevole Rosa De Pasquale, componente della Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera. Ora è la volta della Lega, con Paola Goisis, segretario della stessa Commissione di Montecitorio. E con l’esponente del Carroccio siamo partiti dalla proposta di legge n. 3357, presentata il 30 marzo 2010 alla Camera da 50 deputati leghisti (primi firmatari Goisis, Caparini, Cota, Reguzzoni), ora consultabile sul sito www.camera.it: non c’è dubbio infatti che il testo faccia discutere. La proposta, il cui titolo completo sembra quasi un programma di politica scolastica di legislatura (“Disposizioni concernenti il sistema dell’istruzione, il governo delle istituzioni scolastiche, il trasferimento delle funzioni amministrative relative al personale della scuola alle regioni, nonché il reclutamento, l’organizzazione e l’inquadramento del personale scolastico nei ruoli regionali e l’istituzione di autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa regionale”), affronta in modo organico la questione del federalismo scolastico con una serie di argomentazioni sviluppate con notevole rigore anche formale nella relazione introduttiva. Siamo cioè di fronte a un documento che per la prima volta offre in forma compiuta la versione leghista del federalismo per quanto riguarda la scuola, uno dei tre capisaldi – insieme alla sanità e alla polizia locale – della battaglia dei lumbàrd per la “devoluzione” alle Regioni di competenze già di pertinenza dello Stato.
On. Goisis, quali sono i principi ispiratori della proposta di legge 3357 per il trasferimento delle funzioni amministrative centrali e periferiche alle Regioni?
“La mia proposta di legge, anche alla luce di due sentenze costituzionali , è caratterizzata dai seguenti aspetti:
a) il superamento dell’equazione scuola uguale Stato. La scuola è un servizio su cui lo Stato mantiene responsabilità decisive, importantissime, ma le «norme generali sull’istruzione», i «livelli essenziali» e «i princìpi fondamentali» non rappresentano il servizio dell’istruzione. Le norme sono prescrizioni di carattere generale, sono un «prevedere». Il servizio è un fare in concreto, un «provvedere»: servizio vuol dire organizzare, erogare prestazioni, rilevare e soddisfare bisogni;
b) il superamento dell’equazione docente uguale personale statale. Si tratta di una questione strettamente legata alla decentralizzazione del sistema scolastico se si pensa che quasi tutto il bilancio dell’istruzione è assorbito da questa voce. Il fatto che il personale insegnante sia trasferito alle dipendenze delle singole regioni e che alle medesime regioni spetti la definizione degli organici costituisce un eccellente elemento d’impatto nell’organizzazione del servizio che incide direttamente anche nelle scelte di programmazione dell’offerta. La possibilità in ambito regionale di procedere attraverso valutazioni poste in capo alle singole giunte regionali consente sia una migliore utilizzazione delle risorse sia il sostegno alla qualità dell’offerta. In base alla proposta di legge la gestione del servizio e quindi del personale docente è di competenza regionale e locale (enti locali e istituti scolastici). Le regioni, predispongono con legge regionale le condizioni atte a garantire la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali. Analoghe disposizioni sono previste anche per il personale dirigente e ATA. Ai sensi del titolo I della mia proposta di legge, la dipendenza organica del personale docente, dirigente e ATA è attribuita alle regioni (che curano gli atti relativi al reclutamento e al rapporto di lavoro), mentre la dipendenza funzionale è attribuita alle istituzioni scolastiche, che fissano le regole relative allo svolgimento delle diverse attività sul luogo di lavoro, il rispetto e la flessibilità dell’orario di servizi, eccetera. Allo Stato competono solo le regole generali di stato giuridico ossia le regole di accesso all’insegnamento, le garanzie di libertà d’insegnamento, le incompatibilità, eccetera.
A mio avviso, la riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione non ha realizzato per la scuola quella devoluzione coraggiosa che avrebbe dovuto liberarla dagli antichi vincoli centralistici. Sono stati fatti passi parziali e a volte contraddittori, come è il caso delle diverse responsabilità assegnate alle regioni per «l’istruzione e formazione professionale» rispetto a quelle relative a tutti gli altri settori dell’istruzione. Ritengo quindi che occorra maggiore chiarezza nella decentralizzazione dei poteri dello Stato e senza distinguo e separazioni tra i diversi settori dell’istruzione. Il primo e più delicato problema del nuovo assetto costituzionale, e quindi l’attuazione del federalismo scolastico>> risiede nell’individuazione di cosa sia «norma generale» sull’istruzione. La giurisprudenza costituzionale è intervenuta in diverse occasioni in materia di «norme generali sull’istruzione». Alla luce dei princìpi enunciati da due sentenze costituzionali, può ritenersi che appartengono alla categoria delle «norme generali sull’istruzione» quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante un’offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell’istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In quest’ambito si colloca anche la disciplina relativa all’«autonomia delle istituzioni scolastiche», facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. Tali norme – che, dettando discipline che non necessitano di ulteriori svolgimenti normativi a livello di legislazione regionale, delineano le basi del sistema nazionale di istruzione – sono funzionali, anche nei loro profili di rilevanza organizzativa, ad assicurare, mediante – come ribadito dalla sentenza n. 200 del 2009 della Corte costituzionale – la previsione di un’offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale, l’identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all’articolo 33, primo comma, della Costituzione”.
Come deve avvenire l’attuazione del federalismo scolastico?
“Occorre innanzitutto una devoluzione impostata su due princìpi fondamentali:
a) il mantenimento in capo allo Stato della definizione del quadro normativo generale di tutta l’istruzione, compresa quella professionale, se non altro perché i diplomi e le qualifiche devono avere valenza nazionale ed essere equiparabili in ambito europeo;
b) il trasferimento alle regioni dell’amministrazione di tutta l’istruzione, senza distinzioni.
La proposta di legge n. 3357 prevede uno specifico potere delle regioni nella contrattazione sindacale, attraverso le seguenti azioni:
a) l’ingresso delle regioni in relazione alla contrattazione nazionale. E’ ovvio che la competenza legislativa in materia di il trattamento economico e normativo del personale, il sistema contrattuale ( quanti e quali debbano essere i livelli di contrattazione; quante e quali siano le materie affidate alla contrattazione integrativa; quale debba essere il rapporto tra i differenti livelli; quale debba essere la durata del contratto, eccetera), è dello Stato in via esclusiva ai sensi della lettera l) del secondo comma dell’articolo 117 della Costituzione e la legge statale che attualmente regola tali rapporti è il decreto legislativo n. 165 del 2001, che costituisce la base normativa del trasferimento di competenze dallo Stato alle regioni per quanto riguarda il personale e tale base normativa non può essere modificata se non con legge statale.
b) l’attivazione di autonomi livelli di contrattazione collettiva regionale, nel rispetto della determinazione dei diritti e delle obbligazioni direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale delle singole regioni. Al riguardo si sottolinea che sul piano delle relazioni contrattuali attualmente il potere di impartire indirizzi all’ARAN nella sua attività contrattuale nazionale – per il sistema scolastico – è esercitato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze nonché, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca (articolo 41, comma 2) e agli stessi soggetti spetta esprimere parere favorevole sull’ipotesi d’accordo raggiunta dall’ARAN e dai sindacati ammessi alla trattativa.
La proposta di legge, alla luce della dipendenza giuridico – economica del personale scolastico dalle regioni, estende il predetto concerto alle regioni, attraverso la modifica delle citate norme, l’articolo 40, comma 3, e l’articolo 41, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
c) il superamento del comparto unico della scuola attraverso la previsione dell’articolazione in aree contrattuali funzionali al riconoscimento delle specifiche professionalità (direttivi, docenti e ATA).
Al riguardo si sottolinea che il rapporto di lavoro del personale scolastico (dirigenti, docenti/ATA) ha natura privatistica e contrattuale.
d) la decentralizzazione delle funzioni attualmente svolte dagli uffici periferici del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca. La proposta di legge prevede il trasferimento delle funzioni esercitate dall’ufficio scolastico regionale, nonché quelle svolte dagli uffici scolastici provinciali, al centro servizi amministrativi per la comunità scolastica territoriale, considerato quale organo di partecipazione e di corresponsabilità delle regioni con lo Stato nel governo del sistema nazionale d’istruzione. Tale decentralizzazione consente di risparmiare risorse consistenti a vantaggio del sistema d’istruzione. Dopo il 1997, infatti tutti i provveditorati furono eliminati e sostituiti con le direzioni generali, per essere infine «resuscitati» con il nome di uffici scolastici provinciali, in un processo di costante espansione dell’apparato burocratico centrale e periferico del Ministero. L’aumento delle direzioni generali è paradossalmente avvenuto di pari passo con l’istituzione dell’autonomia scolastica. Si tratta di una contraddizione in termini e di una sorta di cristallizzazione di tale autonomia all’interno della predetta struttura burocratico-amministrativa. Al riguardo ricordiamo che in tutta Europa le riforme scolastiche sono state costruite negli ultimi vent’anni sul decentramento dei poteri dello Stato e sull’autonomia delle scuole.
e) la realizzazione dell’autonomia amministrativa e finanziaria delle istituzioni scolastiche. La proposta di legge mira a creare un collegamento tra l’istituzione scolastica e gli altri soggetti istituzionali, pubblici e privati territoriali. Le scuole ottengono dalla regione una dotazione finanziaria, in modo da garantire, attraverso la qualificazione e la razionalizzazione della spesa, le risorse necessarie per lo svolgimento delle attività di istruzione, di formazione e di orientamento, nonché per il riequilibrio di situazioni di svantaggio. Le assegnazioni ordinarie sono stabilite sulla base di parametri oggettivi per la determinazione dei fabbisogni, tenendo conto dell’entità e della complessità dell’istituzione scolastica.
Le assegnazioni straordinarie sono finalizzate alla copertura di spese imprevedibili o alla realizzazione di progetti di particolare complessità.
La regione provvede alla riqualificazione della spesa complessiva per l’istruzione attraverso:
1) la ridefinizione della rete scolastica territoriale sulla base di parametri oggettivi, che consentano il dimensionamento del numero minimo e massimo degli alunni;
2) l’attribuzione alla scuola di un organico corrispondente ai parametri e agli standard anche pluriennali in rapporto al numero degli alunni, all’interno del quale sia possibile esercitare liberamente scelte organizzative da parte degli organi di governo delle scuole;
3) la riqualificazione della spesa per il personale al fine della miglior efficacia nell’erogazione del servizio educativo.
Ovviamente le regioni attuano il controllo amministrativo e contabile delle istituzioni scolastiche. Le istituzioni scolastiche sono sottoposte al controllo di regolarità amministrativa e contabile da parte di uno o più nuclei di controllo, nominati dal dirigente del distretto scolastico regionale competente. I nuclei sono composti da personale regionale qualificato in materia amministrativa e contabile o da esperti esterni appositamente incaricati;
f) determinazione, selezione e reclutamento dell’organico docente. L’attuale modello concorsuale ha un alto grado di inefficienza, poiché non stabilisce nessun rapporto tra risorse impiegate e qualità del risultati ottenuti. Inoltre si basa su criteri uniformi che non tengono conto dei più moderni sistemi di reclutamento in uso sia nel settore privato sia in quello pubblico. La presente proposta di legge intende mettere fine al vecchio sistema con:
– il superamento della dimensione nazionale del mercato del lavoro scolastico, causa principale dei maggiori difetti dell’attuale modello;
– l’eliminazione del rischio di riproduzione del precariato.
– la garanzia di una selezione pertinente e meritocratica. Si prevedono le medesime disposizioni contenute dalla PDL Camera n. 1710 (presentatori Cota, Goisis e altri) e ddl n. 997 ( d’iniziativa del sen. Pittoni). Le due citate proposte di legge istituiscono il «concorso regionale», e l’avanzamento di carriera. I vincitori del concorso sono assunti con la qualifica di docenti ricercatori, per un periodo massimo di tre anni, con contratto a tempo determinato, prevedendo la possibilità di trasformarlo in assunzione definitiva, a tutti gli effetti giuridici, contrattuali, normativi e retributivi, al terzo incarico annuale, previo accertamento meritocratico del servizio prestato. I più meritevoli sono assunti a tempo indeterminato e ottengono lo status giuridico di docenti esperti, salvo successive valutazioni inerenti la garanzia e la qualità del servizio prestato;
g) gli incarichi pluriennali;
h) l’albo regionale dei dirigenti.
i) la dotazione organica del personale ATA, atta a garantire la continuità nell’erogazione del servizio offerto all’utenza; e la valorizzazione delle competenze professionali;
l) l’autonomia statutaria e l’istituzione degli organi di Governo della scuola. Ogni istituzione scolastica approva la carta dei servizi, quale strumento che definisce i diritti dell’utente in relazione all’organizzazione e all’erogazione del servizio e informa gli studenti e le famiglie sui princìpi fondamentali, sui contenuti specifici e sull’organizzazione dell’offerta formativa. Nell’ambito della propria autonomia le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado utilizzano una parte del curricolo obbligatorio per la costruzione di percorsi interdisciplinari dedicati alla conoscenza del territorio di appartenenza, dal punto di vista storico, culturale, ambientale, urbanistico, economico e sportivo.”.
E l’accordo quadro in tutto questo come va considerato?
“E’ evidente che nel nuovo contesto istituzionale si debbano collocare le proposte delle regioni e delle province autonome, che auspichiamo possano condividere le azioni poste in essere dalla nostra Proposta di legge n. 3357. In particolare spero che la definizione di un apposito accordo quadro tra Stato e regioni, da definire in sede di Conferenza unificata, perché l’obiettivo principale della trasformazione istituzionale e della soluzione prospettata dalla mia Proposta di Legge chiarisce il principio di decentramento dei poteri dello Stato. Inoltre la dipendenza organica e funzionale del personale scolastico dalla regione, assicura una reale pianificazione regionale sui posti effettivamente disponibili al 100 per cento, elimina il precariato, favorisce la continuità didattica”.
Ma le Regioni sono pronte per una moderna proposta sulla scuola?
“La regionalizzazione del sistema scolastico è un processo irreversibile in tutti i Paesi. Ci sono tre principi che sostengono detto processo:
– la qualità;
– l’unitarietà raggiunta attraverso la non uniformità del sistema scolastico come dimostrato dalle politiche di altri Paesi
– la responsabilità o rendicontazione del proprio operato nei confronti di tutti i soggetti della comunità scolastica;
– una Banca dati regionale che metta in relazione i dati sugli allievi, sugli insegnati e sui costi.
– il rafforzamento dell’ autonomia delle istituzioni scolastiche.
Le proposte delle regioni e delle province autonome, sono state avanzate il 14 dicembre 2006, in sede di Conferenza unificata. In questa fase è stato approvato e condiviso all’unanimità il master plan delle azioni da porre in essere per realizzare compiutamente il titolo V della parte seconda della Costituzione nel settore istruzione.
Nel documento era stata individuata la data del 1o settembre 2009 quale termine finale entro il quale le regioni avrebbero dovuto completare la predisposizione delle condizioni per l’esercizio delle funzioni loro attribuite dal titolo V.La proposta delle regioni e delle province autonome analizza, in definitiva, il testo costituzionale e formula norme che possano influire sul miglioramento del servizio di istruzione, sulla qualità della scuola e su alcune condizioni organizzative relative al personale scolastico, perché l’obiettivo principale della trasformazione istituzionale e della soluzione prospettata (dipendenza organica dallo Stato e dipendenza funzionale dalla regione) sarebbe la valorizzazione di tutto il personale della scuola e il sostegno al suo lavoro. Personalmente per dipendenza funzionale intendo comunque che le regioni diventino i datori di lavoro.
A mio avviso quando si parla di federalismo scolastico si deve pensare all’opportunità di snellire le competenze dello Stato, lasciando al Ministro competente quattro funzioni essenziali per salvaguardare l’unitarietà e la coerenza del futuro sistema autonomistico:
– una Banca dati del sistema d’istruzione a livello nazionale;
– la creazione di un programma nazionale di promozione e di sviluppo della ricerca scientifica sull’educazione;
– le relazioni internazionali, allo scopo di aggiornarsi e avere contatti con l’evoluzione dei sistemi scolastici della comunità internazionale;
– il controllo della ripartizione del finanziamento dell’istruzione, alla luce del federalismo fiscale.
La mia proposta di legge tiene conto della legge Calderoli n. 42/2009 (che all’articolo 8, comma 2, introduce la possibilità di estendere la competenza regionale in materia di istruzione) Con l’attuazione del federalismo si prevede l’autonomia fiscale per regioni, province e comuni, da attuare con imposte proprie, aliquote riservate e compartecipazioni sui grandi tributi erariali. Tale prelievo fiscale dovrà finanziare integralmente, sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e dei costi standard (che sostituiranno gradualmente la spesa storica), le funzioni fondamentali degli enti territoriali, inclusa la dipendenza del personale dirigenziale, docente e amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA). Di conseguenza ritengo che sia possibile configurare in prospettiva un trasferimento del ruolo del personale scolastico alle Regioni. Rammento la sentenza della Corte costituzionale: “la distribuzione del personale tra le scuole è materia di competenza regionale, solo transitoriamente ancora esercitata dalla Stato”. Secondo questa concezione non costituirebbe quindi principio fondamentale inderogabile l’incardinamento del ruolo del personale scolastico nell’ambito dell’organizzazione statale”.
Non c’è il rischio di un Paese a due velocità anche per il sistema scolastico?
“Per i territori disagiati, a minore capacità contributiva, la legge Calderoli n. 42 del 2009 istituisce, agli articoli 9 e 13, i fondi perequativi per la regione e gli enti locali.
Dal punto di vista sostanziale l’unico punto che potrebbe creare interferenze nel trasferimento delle risorse umane e finanziarie dallo Stato alle Regioni riguarda difatto i cd. livelli essenziali delle prestazioni.
La determinazione dei citati LEP ( i livelli essenziali delle prestazioni in materia di diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio), deve contenere almeno tre diverse prospettive di equilibrio:
– la prima è quella tra unità e territorialità, omogeneità e condizioni di vita per tutti i soggetti quale che sia il loro luogo di residenza, con la conseguente necessità di prevedere interventi perequativi laddove ce ne fosse necessità;
– la seconda riguarda la correlazione tra risorse disponibili e livelli essenziali delle prestazioni e dei diritti, ossia la possibilità, sia per lo Stato che per le Regioni, di coniugare la realizzazione delle istanze di eguaglianza e solidarietà con il buon andamento finanziario della Pubblica Amministrazione e con l’utilizzazione dello strumento fiscale;
– la terza concerne la gestione-organizzazione dei LEP, il loro raccordo con i doveri e la moralità individuale, il controllo delle prestazioni e della spesa, la ristrutturazione degli apparati amministrativi, il rafforzamento dei valori che caratterizzano gli interessi collettivi. Il finanziamento, sulla base dei LEP al diritto allo studio ( sostegno all’accesso all’istruzione e al successo scolastico) elimina le attuali disparità nelle prestazioni delle offerte a livello territoriale.
Se si pone come condizione la pregiudiziale che prima di tutto si devono fare i LEP il processo di trasferimento rischia addirittura di arenarsi. Occorre fare il contrario: trasferire le risorse umane e finanziarie, determinando in seguito il costo standard, prendendo a riferimento la regione che spende meno. Per tutte le altre si definisce una gradualità per andare a regime, chiedendo che in 5 anni, attraverso la perequazione verticale si arrivi a quel costo standard ( che consentirebbe di determinare anche i LEP)”.
Come valuta a distanza di 10 anni i risultati della legge 62/2000 sulla parità scolastica?
“La scuola paritaria svolge a tutti gli effetti un servizio «pubblico» per chiunque lo desideri, svolto sotto il controllo degli organi dello Stato e degli enti locali. La normativa vigente ha contribuito al superamento della vecchia contrapposizione ideologica fra scuola dello Stato laica e scuola privata cattolica, si è giunti alla definizione anche della dialettica più complessa fra ruolo della scuola gestita dallo Stato e ruolo di una scuola paritaria riconosciuta, insieme alla scuola statale, quale «secondo pilastro» del sistema nazionale di istruzione nella erogazione di un servizio educativo e formativo valido per l’intera società, e perciò anch’esso pubblico.
All’antica contrapposizione fra scuola dello Stato e scuola dei privati, si è sostituita una diversa visione della scuola che, per essere «pubblica» ossia di tutti ed avere perciò accesso al finanziamento dello Stato, deve tendere, pur nell’ambito di progetti educativi diversi, alla formazione di soggetti liberi e capaci di autonomia critica e perciò essere fondata sulla libertà di apprendimento e sulla libertà di insegnamento.
In quest’ottica diventa dunque necessario che gestori statali e non statali assolvano alla medesima funzione pubblica in un sistema fondato su una convergenza culturale e sociale circa gli obiettivi formativi e governato da norme comuni.
Un sistema educativo così concepito è sicuramente la migliore garanzia alle legittime aspettative degli studenti e delle loro famiglie di potere contare su di un
quadro normativo omogeneo con standard minimi uguali per tutti e quindi di potere scegliere in assoluta libertà. In questo ambito, si ritiene si debba valorizzare al massimo il ruolo delle regioni chiamate a definire le modalità di attuazione di una effettiva libertà di scelta delle famiglie tra scuole pubbliche e private, e nel contempo garantire alle famiglie la tutela di un diritto imprescindibile sancito dalla Carta costituzionale per tutti i cittadini”.
Che cosa pensa della detraibilità fiscale delle spese sostenute dai genitori che iscrivono i loro figli alle paritarie?
“La Lega Nord ha presentato la proposta di legge n. 2253 che consente alle famiglie che hanno figli di età compresa tra tre e sei anni, che frequentano una scuola dell’infanzia paritaria, di usufruire di una detrazione pari al 19 per cento delle spese sostenute per il pagamento delle rette di frequenza. . Si tratta di un’iniziativa con cui si intende stigmatizzare l’interpretazione prevalente del terzo comma dell’art. 33 della Costituzione, in base alla quale la locuzione “senza oneri per lo Stato”, rappresenta un vero e proprio divieto costituzionale a sostenere oneri da parte dello Stato a favore di scuole istituite da enti o da privati. Tale interpretazione, derivante da un pregiudizio discriminatorio di matrice ottocentesca, è fuorviante e va contrastata, andando essa ben oltre le intenzioni dello stesso Epicarmo Corbino, che propose, in sede di Assemblea Costituente, l’emendamento espresso nella citata locuzione.
Il paradosso è rappresentato dalla sussidiarietà alla rovescia, in quanto le famiglie e le scuole paritarie finanziano lo Stato e non viceversa, facendo risparmiare a quest’ultimo mediamente 8.000 euro per alunno all’anno, per un totale di 6.245 milioni di euro (dalla scuola dell’infanzia alla scuola superiore). E’ ovvio che la detraibilità è solo un primo passo verso un trattamento economico equipollente tra studenti e famiglie dello stesso Stato, rappresenta un’inversione di tendenza rispetto all’attuale regime e tiene conto delle difficoltà economiche del tempo presente, in cui non sembra opportuno avanzare richieste di finanziamenti , che verrebbero strumentalizzati e andrebbero ad alimentare la conflittualità sociale e la polemica politica”.
E del buono studio per tutti?
“La Lega Nord conduce da tempo una battaglia a favore dell’erogazione dei buoni-scuola da utilizzare per il pagamento delle spese di iscrizione presso scuole paritarie aventi sede legale nel territorio regionale, il cui ammontare dovrà essere determinato da ciascuna regione in relazione al reddito, alle disagiate condizioni economiche, al numero dei componenti il nucleo familiare e all’entità delle spese scolastiche gravanti complessivamente sul medesimo nucleo familiare, prendendo come parametro di riferimento la spesa media annua statale per studente, in relazione a ciascun ciclo di istruzione. E’ importante che le regioni promuovano e disciplinino, i servizi e gli interventi necessari per garantire il diritto allo studio, nonché il sostegno dei processi educativi, in un quadro di collaborazione con gli enti locali, con l’amministrazione periferica della pubblica istruzione, con gli organi collegiali territoriali della scuola, con le istituzioni scolastiche autonome, con le agenzie formative, con le famiglie e con le forze sociali presenti sul loro territorio. L’iscrizione degli alunni presso le scuole paritarie dovrebbe essere soggetta all’applicazione delle tasse previste per le iscrizioni e al versamento di una quota integrativa, per quanto non coperto dall’intervento statale, e nella misura stabilita da ogni singola istituzione scolastica.
Lo Stato deve comunque garantire a tutte le famiglie degli alunni, in età scolare e prescolare, delle scuole statali e delle scuole paritarie l’ integrale copertura dei costi sostenuti per l’acquisto di libri di testo, dei sussidi didattici di uso personale e per tutte le altre spese scolastiche, i relativi oneri, purché debitamente documentati e non coperti da altri interventi, in modo tale che costituiscano credito d’imposta.
L’intervento statale potrebbe essere attuato in modo graduale ed è determinato in misura pari al:
a) 50 per cento del costo per alunno della scuola statale per il primo anno scolastico successivo alla data di entrata in vigore della presente legge;
b) 60 per cento per il secondo anno;
c) 80 per cento per il terzo anno;
d) 90 per cento per il quarto anno;
e) 100 per cento per il quinto anno.
Detto intervento dovrebbe comunque essere vincolato a determinati parametri, quali:
a) la tutela del diritto dell’alunno ad una prestazione educativa e didattica adeguata e commisurata alle proprie potenzialità;
b) la conformità dell’intervento formativo agli obiettivi fissati dallo Stato;
c) gli standard minimi di produttività della singola scuola.
Si tratta di criteri che intendono privilegiare le scuole paritarie più virtuose, rispetto a quelle che oramai, alla luce di recenti inchieste televisive, al sud d’Italia si sono trasformate in diplomifici; luoghi dove si attua la compravendita di diplomi, senza nemmeno garantire la frequenza scolastica, obbligatoria e regolata dalle disposizioni vigenti per le scuole statali”.
Conferma la bontà dell’idea delle graduatorie regionali?
“L’istituzione delle graduatorie permanenti, la mancanza di programmazione per l’ingresso nelle graduatorie e misure di sanatoria adottate in conseguenza alla considerazione che taluni governi di centro – sinistra avevano della scuola come ammortizzatore sociale rappresenta una delle cause principali dell’ esplosione del precariato. Il governo di centro sinistra, con la legge n. 124/1999, ha cristallizzato il sistema del doppio canale di reclutamento, nato dieci anni prima, prevedendo la copertura del 50% dei posti disponibili mediante concorso ordinario e per la restante metà attingendo dalle graduatorie permanenti risultanti dalla trasformazione operata dalla suddetta legge delle graduatorie dei precedenti concorsi per soli titoli e delle graduatorie provinciali per il conferimento delle supplenze. Con la Legge 124/99 è stata creata, in pratica, una pericolosissima connessione tra graduatorie destinate esclusivamente alle immissioni in ruolo, quali erano le graduatorie dei concorsi per soli titoli, con le graduatorie che fino a quell’anno erano state compilate con cadenza generalmente biennale ed erano finalizzate esclusivamente alla copertura delle supplenze. La graduatoria unica istituita ai sensi della legge 124/1999 ha in pratica allargato a dismisura la platea del personale aspirante alla stabilizzazione mediante nomina in ruolo dal momento che le precedenti graduatorie dei concorsi per soli titoli (denominate tradizionalmente “doppio canale”) prevedevano l’inclusione del solo personale che avesse effettivamente svolto servizio per almeno un biennio e fosse munito ovviamente del prescritto titolo di abilitazione.I Corsi abilitanti speciali ( istituiti dal Governo di centro – sinistra) hanno fatto lievitare il numero del personale con aspirazione al posto fisso, fino al paradosso di consentire l’iscrizione con riserva a coloro che erano iscritti al primo anno di percorsi universitari di scienza della formazione. Il risultato delle politiche sulla scuola del Governo di centro sinistra, ha lasciato alla maggioranza di centro – destra l’eredità di circa 270.000 precari, inseriti nelle graduatorie ad esaurimento di tutti i gradi di scuola. Il problema dei precari, con tutte gli aspetti negativi che ad esso si collegano, si trascina da troppo tempo e il ricorso alle sanatorie, oltre a eludere il problema fondamentale di un serio accertamento dei requisiti professionali non può che dare risposte parziali. Si tratta di un esercito di insegnanti meridionali, che disattendono la norma in base alla quale la permanenza nella sede assegnata non può essere inferiore ai 2 anni nella stessa Provincia, e almeno di 3 anni nella provincia diversa. In base a una discutibile disposizione ministeriale, per il primo anno tale assegnazione viene definita “provvisoria” per cui i neoimmessi in realtà sono tenuti alla permanenza solo a partire dall’anno successivo”. Va ricordato ancora che la L. 53/2003 (la cosiddetta Riforma Moratti) all’art.3 comma 1 lettera a) aveva previsto che “il miglioramento dei processi di apprendimento e della relativa valutazione, nonché la continuità didattica, fossero assicurati anche attraverso una congrua permanenza dei docenti nella sede di titolarità”. Il Ministro Gelmini ha dichiarato in alcune occasioni che <<l`archetipo organizzativo dell`istruzione è quello degli anni 70. Non può più funzionare né al Nord né al Sud. Si parla tanto dell`autonomia scolastica, ma in realtà questa nei fatti non esiste. Gli istituti devono essere collegati al proprio territorio, alle sue esigenze produttive ed economiche>>.
La graduatoria regionale è utile solo se si fa una programmazione della domanda di insegnanti, a livello di aree territoriali appropriate, individuando nel livello regionale il livello di responsabilità che deve dare loro attuazione. Il Ministro ha probabilmente l’intenzione di assegnare nuove competenze alle Regioni che, oltre alla potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale e concorrente in materia di istruzione, possano programmare la rete scolastica regionale, date le disponibilità di risorse umane e finanziarie fissate in modo fondato, credibile e rigoroso dallo Stato, attribuendo il personale alle scuole. Alla luce della mia Proposta di legge, si tratterebbe comunque di una fase transitoria che dovrebbe culminare nell’attribuzione esclusiva del reclutamento e gestione del personale scolastico da parte del sistema autonomistico territoriale ( Regione, enti locali, istituzioni scolastiche, ecc)”.
Su tutto questo quali le differenze con il progetto del Pdl presentato da Valentina Aprea?
“A mio avviso il pdl Aprea è centralista. Non è prevista alcuna norma specifica sulla regionalizzazione del personale docente, dirigente e ATA. La decentralizzazione è concepita essenzialmente come un passaggio dalle competenze statali alle competenze delle autonomie scolastiche. Esso non prevede infatti un giusto equilibrio fra poteri delle regioni e poteri delle istituzioni scolastiche.
Se consideriamo lo stato giuridico del docente, occorre evidenziare che i due processi non procedono di pari passo: l’accesso alla formazione iniziale o l’articolazione della funzione docente prevede solo ed esclusivamente un intervento regolamentare statale, esonerando le regioni da qualsiasi potere programmatorio.
Anche i concorsi d’istituto mal si conciliano con la regionalizzazione del personale docente. L’ambito della contrattazione è generico e non prevede nessuna forma di contrattazione regionale.La previsione della Fondazione rischia di innescare conflitti ideologici, perseguendo una privatizzazione occulta. Il finanziamento non è integrato da alcun contributo perequativo a fronte di particolari situazioni di difficoltà socio-educativa degli studenti, o integrato con un’integrazione correlata ai risultati raggiunti in termini di valore aggiunto negli apprendimenti, da accertare mediante valutazione esterna su un arco di tempo di più anni”.