Non solo reclutamento dei docenti su base regionale ma un vero e proprio programma di politica scolastica. La proposta della Lega, che ha già scatenato molte polemiche – soprattutto dopo l’apertura del ministro Gelmini sul personale scolastico, molto annunciata e attesa, ora scaricabile dal sito della camera (www.camera.it), – non è proprio una “leggina” ma una vera e propria norma organica con la quale il Carroccio intende attuare un vero e proprio federalismo scolastico.
Una devoluzione che si basa su due principi fondamentali: «Il mantenimento in capo allo stato della definizione del quadro normativo di tutta l’istruzione, compresa quella professionale», anche perché diplomi e qualifiche dovranno avere «valenza nazionale» ed essere spendibili a livello europeo; il trasferimento alle regioni dell’amministrazione di tutta l’istruzione (senza distinzione tra scolastica e professionale).
In pratica, come fa notare anche Tuttoscuola, la Lega intende completare il processo avviato con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che aveva attribuito alle regioni solo le competenze di programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica, assegnando a esse anche quelle finora mantenute dagli uffici scolastici regionali in materia di programmazione e gestione degli organici del personale. Il federalismo proposto dal Carroccio, però, prevede l’autonomia fiscale per regioni, province e comuni. Risorse che le regioni potranno utilizzare per finanziare integralmente, sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni e dei costi standard, le funzioni fondamentali degli enti territoriali e, quindi, anche il personale dirigenziale, docente e amministrativo, tecnico e ausiliario.
Cuore della proposta la competenza sulla gestione degli organici che, secondo i deputati leghisti, deve essere riconosciuta alle regioni sia per quanto riguarda il reclutamento che per il rapporto di lavoro, mentre alle istituzioni scolastiche lo svolgimento delle attività sul luogo di lavoro che l’orario di servizio. In poche parole: i soldi per il funzionamento delle scuole sono di competenza della programmazione regionale.
Allo stato competeranno solo le regole generali come l’accesso all’insegnamento, la libertà di insegnamento e le incompatibilità di ruolo. Una proposta che si rifà a una sentenza della Corte costituzionale del 2004 (ricorso delle regioni alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione) ma che pesta i piedi a un’iniziativa presentata dalla pdl Valentina Aprea, presidente della commissione istruzione della camera, bloccata proprio dalla Lega. E che, soprattutto, non considera la situazione delle regioni del Sud.
Inoltre, la Lega non sembra tenere conto che la riforma del Titolo V è già in campo e la base di partenza è l’accordo quadro tra governo, regioni, province, comuni e comunità locali dello scorso 22 gennaio e in attesa dell’approvazione formale della conferenza unificata. Dov’è la differenza? Nell’accordo alle regioni viene attribuita una dipendenza funzionale del personale scolastico che rimane organico allo stato. La Lega invece, forse per la tanto amata “appartenenza territoriale”, vuole i ruoli regionali del personale.
«Gli insegnanti padani non servono alla scuola», dice a Europa Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd, «così come non servono gli albi regionali previsti dalla pdl leghista». Tre gli interventi necessari secondo il Pd: «Stabilizzare i precari con l’assunzione di 150mila insegnanti, come aveva deciso il governo Prodi e bloccati da Berlusconi; assegnare incarichi triennali; legare l’immissione al ruolo del docente alla permanenza in quel ruolo per cinque anni».
In pratica, come fa notare anche Tuttoscuola, la Lega intende completare il processo avviato con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, che aveva attribuito alle regioni solo le competenze di programmazione dell’offerta formativa e della rete scolastica, assegnando a esse anche quelle finora mantenute dagli uffici scolastici regionali in materia di programmazione e gestione degli organici del personale. Il federalismo proposto dal Carroccio, però, prevede l’autonomia fiscale per regioni, province e comuni. Risorse che le regioni potranno utilizzare per finanziare integralmente, sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni e dei costi standard, le funzioni fondamentali degli enti territoriali e, quindi, anche il personale dirigenziale, docente e amministrativo, tecnico e ausiliario.
Cuore della proposta la competenza sulla gestione degli organici che, secondo i deputati leghisti, deve essere riconosciuta alle regioni sia per quanto riguarda il reclutamento che per il rapporto di lavoro, mentre alle istituzioni scolastiche lo svolgimento delle attività sul luogo di lavoro che l’orario di servizio. In poche parole: i soldi per il funzionamento delle scuole sono di competenza della programmazione regionale.
Allo stato competeranno solo le regole generali come l’accesso all’insegnamento, la libertà di insegnamento e le incompatibilità di ruolo. Una proposta che si rifà a una sentenza della Corte costituzionale del 2004 (ricorso delle regioni alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione) ma che pesta i piedi a un’iniziativa presentata dalla pdl Valentina Aprea, presidente della commissione istruzione della camera, bloccata proprio dalla Lega. E che, soprattutto, non considera la situazione delle regioni del Sud.
Inoltre, la Lega non sembra tenere conto che la riforma del Titolo V è già in campo e la base di partenza è l’accordo quadro tra governo, regioni, province, comuni e comunità locali dello scorso 22 gennaio e in attesa dell’approvazione formale della conferenza unificata. Dov’è la differenza? Nell’accordo alle regioni viene attribuita una dipendenza funzionale del personale scolastico che rimane organico allo stato. La Lega invece, forse per la tanto amata “appartenenza territoriale”, vuole i ruoli regionali del personale.
«Gli insegnanti padani non servono alla scuola», dice a Europa Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd, «così come non servono gli albi regionali previsti dalla pdl leghista». Tre gli interventi necessari secondo il Pd: «Stabilizzare i precari con l’assunzione di 150mila insegnanti, come aveva deciso il governo Prodi e bloccati da Berlusconi; assegnare incarichi triennali; legare l’immissione al ruolo del docente alla permanenza in quel ruolo per cinque anni».
Note: europaquotidiano.it 12/05/2010