La sentenza del giudice monocratico, sezione lavoro, del tribunale di Torino del 2/04/10 sull’applicazione del recente dgls 150/09 da parte della direzione amministrativa INPS regione Piemonte, ripropone una lettura dello stesso decreto sotto il criterio dell’analisi giuridica, e quindi imparziale, dei suoi contenuti.
La Direzione regionale INPS, infatti, applicando le normative del decreto aveva estromesso le rappresentanze sindacali prendendo iniziative unilaterali su materie che erano oggetti di confronto. Vale a dire informazione preventiva e successiva ai sindacati e relativa concertazione. In particolare ,il problema è quello che sorge dall’applicazione dell’art. 65 del decreto Brunetta sui contratti integrativi.
Tecla Squillaci
La sentenza del giudice monocratico, sezione lavoro, del tribunale di Torino del 2/04/10 sull’applicazione del recente dgls 150/09 da parte della direzione amministrativa INPS regione Piemonte, ripropone una lettura dello stesso decreto sotto il criterio dell’analisi giuridica, e quindi imparziale, dei suoi contenuti.
La Direzione regionale INPS, infatti, applicando le normative del decreto aveva estromesso le rappresentanze sindacali prendendo iniziative unilaterali su materie che erano oggetti di confronto. Vale a dire informazione preventiva e successiva ai sindacati e relativa concertazione. In particolare ,il problema è quello che sorge dall’applicazione dell’art. 65 del decreto Brunetta sui contratti integrativi e le misure che si applicano ad essi con l’entrata in vigore di tale decreto. Infatti, secondo l’attuale CCNL i contratti individuali possono essere fatti in melius (migliorativi) e non in pejus ( peggiorativi) ai sensi dell’art. 2077 Codice Civile, e pertanto il decreto 150/09 entrerebbe in netto contrasto con la natura privatistica dell’attuale rapporto di pubblico impiego.
Da una prima lettura della sentenza si evince che la condanna per violazione da parte dell’amministrazione INPS sia dettata dal fatto che il recente decreto Brunetta non potrà applicarsi che a partire dalla stipula del nuovo CCNL, qualora venisse meno l’applicazione del diritto civile sui contratti della PA così come è finora.
In realtà questa motivazione non esaurisce la complessità che tale sentenza comporta. Sono ,infatti, già ampiamente decorsi i tempi della “vacati legis” dal momento in cui il dgls è stato pubblicato nella G.U.
In buona sostanza, un esame più attento della sentenza in oggetto ci induce a dovute riflessioni sugli scenari che essa prospetta al di là della considerazione legittima sulla maturazione dei tempi. Tali ulteriori ragioni sembrano apparentemente non emergere dalla sentenza ma solo perché la materia cui alludono esula dalla competenza e quindi dalla procedibilità del giudice del lavoro il quale è tenuto a rispondere sull’istanza e non oltre. Secondo l’accezione del Calamandrei, infatti, il giudice non può fare giustizia in modo assoluto ma deve attenersi ad applicare la legge in atto. In questo caso specifico, il contratto ancora in vigore.
La discussione ora si apre su ipotesi di incostituzionalità dei risvolti conseguenti all’applicazione del decreto legislativo 150/09. In primo luogo,la natura delle relazioni sindacali scaturisce dalla constatazione dell’effettivo ordinamento dello Stato. La loro esclusione potrebbe essere illegittima nella misura in cui vìola l’art. 39 della Costituzione.Ma in questo campo soltanto la Corte Costituzionale e nessun altro può pronunciarsi.
L’art. 39 della Costituzione, infatti, riconosce il sindacato quale personalità giuridica, ovvero come titolare di obblighi in situazioni giuridicamente oggettive. La stessa libertà sindacale si inserisce quale diritto soggettivo di libertà intesa anche come valore inibitorio nei confronti di atti, anche da parte dello Stato, che possono ledere l’interesse tutelato. In altri termini,poiché il nostro Stato è di diritto ne deriva che esso si pone nei confronti del cittadino con gli stessi diritti, doveri e norme che regolano i rapporti civili tra i privati.
Inoltre, nel nostro ordinamento giuridico basato sulla “civil law” la tendenza è sempre stata quella di legare il diritto sindacale, per dottrina e per giurisprudenza, alle norme del diritto civile.
In buona sostanza,l’omissione di diritti ed obblighi costituzionalmente tutelati non può essere avallata da leggi ordinarie perché la nostra Costituzione, essendo di tipo rigido, prevede una complessità di procedure per la modifica anche di un suo solo articolo ( maggioranza qualificata ovvero referendum).
Nel 1985 venne fatto , ad esempio, un tentativo di riforma costituzionale da parte della Commissione Parlamentare di allora, con un rinvio alla legge ordinaria riguardo il sistema di rappresentatività di un sindacato. Allora non si procedette all’emanazione della legge per non incorrere nell’infrazione di uno Stato che interferisca con il diritto alla libertà d’associazione ( art.18 Costituzione).
Inoltre, la Corte Costituzionale con sentenza del 29/04/88 n. 68 ribadì che quando ad essere lesa la sfera giuridica del sindacato, essendo la libertà sindacale un diritto soggettivo perfetto, o anche per controversie ex art.28 Legge 300/70 , si può adire al giudice del lavoro. Con ciò si intese affermare l’incontrovertibilità della valenza dei diritti sindacali come diritti soggettivi . Laddove, invece, si ricorre al TAR per la tutela di interessi legittimi.
E’ coerente a quest’ottica, in ultima analisi, la conclusione della sentenza in oggetto che oltre a sanzionare l’INPS per comportamento antisindacale obbliga la stessa ad un “facere”, cioè all’assolvimento degli obblighi previsti.
Tecla Squillaci.