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Accerchiamento "lento" ai sindacati

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Il centrodestra continua nella sua opera di indebolimento del sindacalismo confederale, procedendo con apparente indifferenza e silenziosamente, con una serie di piccole ma profonde modifiche legislative. Della cosa cominciano ad accorgersi – ed è un bene – anche commentatori e studiosi del mondo del lavoro. In un articolo apparso di recente su Repubblica, l’economista Tito Boeri sostiene che con il ricorso all’arbitrato nella risoluzione delle controversie di lavoro – così come congegnato negli articoli del “collegato lavoro” approvato in via definitiva dal Senato circa un mese fa – il sindacato confederale rischia una vera e propria mutazione genetica. In particolare, l’economista sostiene che delegando alle organizzazioni sindacali, attraverso i collegi arbitrali composti da quattro rappresentanti delle associazioni imprenditoriali e da quattro rappresentanti dei lavoratori compiti che sono propri dei poteri pubblici, si andrebbe verso una loro “statalizzazione”. Il rischio è reale, ma non il solo e nemmeno il più grave. C’è un altro punto che si inquadra perfettamente all’interno della strategia che il governo Berlusconi e il ministro Sacconi perseguono con lucidità sin dal giorno del loro insediamento e che richiede, a mio parere, un’attenta riflessione per i suoi effetti potenzialmente devastanti. La legge 1167-B, agli articoli 31 e seguenti, prevede che i membri del collegio arbitrale di provenienza sindacale non siano eletti direttamente dai lavoratori, come avviene in altri paesi europei, ma siano scelti dalle organizzazioni maggiormente rappresentative “a livello territoriale”. La questione nasce qui. La libertà di associazione sindacale è un cardine fondamentale del nostro ordinamento costituzionale e nessuno intende negare la possibilità di dar vita a nuovi soggetti sindacali, anche a livello territoriale: ci mancherebbe. Il problema è la certificazione della loro rappresentatività. Dare ai rappresentanti dei lavoratori, come a quelli delle associazioni imprenditoriali, poteri enormi – che vanno anche oltre la legge e i contratti – in materia di licenziamenti, retribuzioni, orari o inquadramenti senza aver stabilito i requisiti in base ai quali l’organizzazione cui appartengono possa essere considerata maggiormente rappresentativa sul piano non territoriale ma nazionale, apre la strada alla costituzione di sindacati di comodo dell’impresa e del lavoro,ai quali viene concessa la possibilità di stipulare accordi in deroga, cioè al ribasso rispetto ai contratti nazionali e di praticare la logica del dumping sociale. Questa scelta, come è del tutto evidente, se portata a compimento, assesterebbe un colpo micidiale al sindacalismo confederale. Un colpo, da parte del governo e della maggioranza di centrodestra, cercato e accuratamente studiato. Non a caso nello stesso collegato lavoro – a proposito dei lavoratori marittimi – si è riproposto, e alla fine si è fatto passare, il concetto di rappresentatività territoriale del sindacato per derogare a norme nazionali in tema di orario di lavoro. Questo articolo è stato fortemente voluto dalla Lega, che l’ha imposto agli altri partiti di maggioranza in termini di vero e proprio ricatto politico. Vana è stata l’azione dei rappresentanti del Partito Democratico in commissione lavoro e in aula che, contro questa disposizione, si sono battuti senza successo. L’obiettivo dei leghisti appare chiaro. Dopo i ripetuti fallimenti registrati dai tentativi di dar vita a un sindacato “padano”, puntano ora a minare localmente le posizioni delle organizzazioni sindacali confederali nazionali, attraverso la forza della legge anziché quella delle proposte, del confronto politico e del consenso dei lavoratori. Se questa diventerà davvero la strategia dell’intero governo (oltre che di Sacconi e della Lega), la volontà di svuotare il ruolo del giudice del lavoro o di limitare il campo di applicazione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori in tema di licenziamenti, per quanto assai grave, passa in secondo piano. L’obiettivo è più ambizioso e pericoloso: dopo aver perseguito la divisione del sindacato, accompagnata dal tentativo di una sua istituzionalizzazione, si va ora verso la scelta di una corporativizzazione territoriale della rappresentanza. Una scelta che minerebbe le fondamenta delle associazioni confederali del lavoro e dell’impresa. Credo che di tutto questo sia necessario discutere in modo approfondito, anche in vista della firma che dovrà ancora essere apposta al provvedimento dal Presidente della Repubblica. Nessuno può chiamarsi fuori, né i partiti di maggioranza e di opposizione, né le organizzazioni sindacali e imprenditoriali direttamente interessate. Chi intende mutare natura e ragioni della rappresentanza e della rappresentatività delle associazioni sindacali non può pensare di farlo sottotraccia, a colpi di decreto o di maggioranza all’interno delle commissioni parlamentari. Deve uscire allo scoperto ed avviare un confronto che coinvolga tutto il paese. *Capogruppo Pd commissione lavoro Camera dei deputati Da il Fatto Quotidiano del 28 marzo

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