“Entro gennaio avrò l’anagrafe completa delle scuole italiane”. Gelmini, novembre 2008, subito dopo il crollo del liceo Darwin a Rivoli. “Entro sei mesi sarà completata una ricognizione del livello di sicurezza degli edifici scolastici che consentirà di stilare una classifica delle priorità degli interventi”, gennaio ‘09, due mesi dopo. Passata l’emergenza, risopito il problema nell’indifferenza generale, Gelmini, ad una domanda su ilsussidiario.net , pochi giorni fa, non solo glissa su tutte le affermazioni precedenti, ma passa ad uno dei suoi contrattacchi preferiti: “Più del 97% del bilancio dell’Istruzione viene assorbito dagli stipendi e poco resta per le spese più urgenti così come per l’edilizia scolastica e la formazione. Il governo che ci ha preceduto non ha avuto il coraggio di affrontare questo problema (…) Il nostro impegno, al contrario, è migliorare la qualità della spesa, investendo più risorse nell’edilizia scolastica, nei laboratori e per gli strumenti necessari nelle attività quotidiane”.
Con il solito condimento di cose non vere (i laboratori sono stati tagliati del 25%; il ministero ha un debito con le scuole italiane di 1,5 mld, che ha già annunciato non verrà rifuso), motiva il taglio di 140.000 posti di lavoro attraverso la sublime giustificazione dell’insicurezza delle scuole: è anche colpa nostra se cadono a pezzi. Il problema edilizia scolastica va avanti da alcuni lustri, tra un traccheggiamento, un annuncio, l’evidenza di ciò che conta: i fatti. Che ci dicono che recarsi a scuola ogni giorno per gli 8 milioni – studenti, insegnanti, personale Ata – di persone coinvolte è una cabala: ma che razza di Paese è quello in cui si consente a bambini, ragazzi, adulti di trascorrere una parte importante della propria giornata in ambienti molto spesso ingrigiti, fatiscenti e, soprattutto, insicuri? Dopo 14 anni di rilevazioni e ben 12 milioni di euro spesi, ancora nessuno è in grado di dire quanto sia grave la condizione dell’edilizia scolastica.
Non è stata ancora completata l’Anagrafe, progetto presentato dal Miur nel 2004, attuazione tardiva della legge Masini, che si proponeva di censire i 41.000 edifici, per individuare priorità nelle emergenze e nella programmazione degli interventi. L’attuazione del D.Lgs 626/94 – la legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – per la scuola è stata continuamente prorogata. Unico effetto: mettere al sicuro gli Enti Locali – responsabili in materia – dal rischio di chiusura per inagibilità degli edifici non ancora a norma, considerando anche gli effetti della stretta finanziaria e della drammatica riduzione nel trasferimento di risorse agli stessi. Obiettivo di civiltà rimandato, anno dopo anno, Finanziaria dopo Finanziaria. I dati, al solito sconfortanti: divario evidentissimo tra Nord e Sud; 55.62% degli edifici scolastici costruiti prima del 1974, 38.14% con urgentissima necessità di manutenzione. Il 19.3% degli istituti non ha ottenuto la certificazione igienico sanitaria, il 29.7% l’agibilità statica. Il 62.3% delle scuole non è dotata di certificazione di prevenzione antincendio , solo il 56.72% ha scale di sicurezza; in calo drammatico l’azione di bonifica dell’amianto. Fonte: la decima indagine Legambiente sull’edilizia scolastica, cui ancora un alto numero di enti locali non risponde.
Non sono fredde cifre: in quegli scuole, con quelle percentuali, entrano tutti i giorni i nostri figli. E noi, a lavorare. La bella inchiesta di Iacona avrà avuto forza se, oltre all’indignazione immediata, produrrà maggiore coscienza dei gravi problemi (tra cui questo) che ha rappresentato. Intanto il Codacons promuove la denuncia delle situazioni di sovraffollamento nelle aule. Quali sono le priorità di questo governo? Dopo due anni, dopo gli “epocali” interventi stile veni, vidi, vici, la Bismarck di merito, semplificazione, sicurezza, con le sue facili ricette – grembiulino, 5 in condotta, quota del 30% – ce le continua ad indicare: tagli. Di posti di lavoro, cultura, possibilità di emancipazione. La sicurezza non occupa le prime posizioni nell’agenda Gelmini. Il timore è doverne riparlare alle prossime lacrime di coccodrillo.
Da il Fatto Quotidiano del 4 aprile