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I docenti precari pagano per votare

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Vincenzo Brancatisano – Perdono centinaia di euro per poter votare il 28 e 29 marzo. Per evitarlo, i precari costretti a improvvisarsi rappresentanti di lista. Si trasformano in rappresentanti di lista e così evitano di pagare per poter votare. Sembra incredibile, ma a tanto possono spingere le discriminazioni perpetrate ai danni dei precari della scuola. Lo rivela Vincenzo Brancatisano in occasione di una nuova anticipazione del suo libro “Una vita da supplente – Lo sfruttamento del lavoro precario nella scuola pubblica italiana”, 352 pagine, in libreria nei prossimi giorni per Nuovi Mondi. Dell’inedito escamotage stanno facendo ricorso in queste ore insegnanti precari fuori sede, che a fine marzo andranno a votare in regioni lontane, evitando così una stangata economica risparmiata invece ai docenti di ruolo. E’una delle innumerevoli discriminazioni tra docenti stabili e precari, consacrate nei contratti collettivi firmati dai sindacati, e denunciate dal libro di Brancatisano. “La somma che i supplenti pagano per esercitare il diritto di voto “è una sorta di pizzo – denuncia l’autore – che si aggiunge ad altre somme pagate dai supplenti nel corso di un’interminabile campagna di raccolta differenziata punti. In prossimità delle elezioni centinaia di docenti fuori sede chiedono di potersi recare alle urne. Se il lavoratore ha mantenuto la residenza nel comune d’origine potrà usufruire solo di permessi, che sono retribuiti per il personale di ruolo e non retribuiti per i docenti a tempo determinato, i quali se andranno a votare perderanno, cosa più grave e sconosciuta, anche l’anzianità di servizio. Ugualmente discriminati sono i precari della scuola che vogliano partecipare, stavolta come candidati, alla propria campagna elettorale. A loro spettano solo sei giorni di permesso non retribuito, mentre il personale di ruolo può usufruire, tra l’altro, dei permessi retribuiti e dell’aspettativa, stavolta non pagata”. A questo punto, molti precari, prosegue Brancatisano, “scelgono di ricorrere alle ferie, sempre che trovino (obbligo contrattuale) più colleghi disposti a sostituirli, missione quasi impossibile di sabato. Ma così i precari perdono il compenso sostitutivo per ferie maturate e non godute, che chi invece sceglie di non votare percepisce appena dopo il licenziamento estivo. Si pagano dunque più di 200 euro per tre giorni di ferie ottenuti. Se ad essi si aggiungono le spese di viaggio e l’obbligo nei giorni successivi di restituire il piacere ai sostituti, con la conseguente perdita di uno o più giorni liberi, passa la voglia di votare. E infatti, per non subire la pesante perdita economica (tra un costo e l’altro quasi un milione delle vecchie lire) finisce che molti lavoratori precari rinuncino al voto e infatti i supplenti ingrossano da sempre la quota di astensionismo”. A meno che non si trovi un medico compiacente per un certificato medico fasullo, o, ed ecco il punto, qualche partito politico che trasforma il supplente in proprio rappresentante. Ai docenti è infatti riconosciuto il diritto di assentarsi se chiamati come presidenti, scrutatori o rappresentanti di lista, per tutto il periodo delle operazioni di voto e di scrutinio, e l’attività è considerata lavorativa a tutti gli effetti. Ma non è finita. Per l’impegno domenicale è previsto il riposo compensativo (Legge 53/90) e i docenti che hanno il sabato libero hanno pure diritto al recupero di questo giorno con altro giorno lavorativo da fruire in un periodo successivo, sempre che le operazioni elettorali non vadano oltre la mezzanotte di lunedi poiché in questi casi i permessi per riposo allontanerebbero il docente da scuola per circa una settimana. “Una sorta di vendetta dei precari – conclude Brancatisano – dannosa per la scuola e a cui si potrebbe ovviare eliminando le ingiustificate discriminazioni dei contratti collettivi”.

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