Si è saputo nei giorni scorsi che in una scuola elementare di Pordenone un quarantenne maestro (una rarità) supplente ha perso l’incarico – o più precisamente, a quanto pare, non ne ha ricevuto un altro – anche perché avrebbe utilizzato, durante le lezioni, espressioni dialettali campane, creando così difficoltà di comprensione tra gli alunni delle due classi a lui affidate. Secondo quanto riportato dal Messaggero Veneto sarebbero stati i genitori a protestare con la dirigente scolastica. Ne sarebbe scaturita perciò un’ispezione, dopo la quale al supplente non è stato rinnovato il contratto di lavoro, presumibilmente dal dirigente scolastico (si trattava di una supplenza temporanea). Certo, la motivazione del mancato rinnovo data dal dirigente dell’USP che aveva disposto l’ispezione (“manifesta incapacità didattica in un docente non abilitato”) è pesantissima. E’ vero che il funzionario ha escluso che esistano collegamenti fra l’accertata manifesta incapacità e le (in)competenze linguistiche del supplente denunciate dai genitori, ma la cosa è in qualche modo ancora più preoccupante per almeno tre aspetti: perché la pronuncia in qualche modo si può correggere, mentre l’incapacità didattica no; perché con questa specie di bocciatura sul campo sarà difficile che questo supplente possa avere altri incarichi, almeno in provincia di Pordenone; e infine perché, se la valutazione del dirigente dell’USP è corretta, si deve ritenere che il quarantenne supplente “non abilitato” (strano, per una persona di quell’età) abbia insegnato – presumibilmente per una ventina d’anni – senza averne la capacità. E forse l’interessato si chiederà: è giusto che una cosa del genere (alquanto insolita, almeno in Italia) sia capitata solo a me?