In poche ore arriva il sostegno di Flc-Cgil, Uds, Rete studenti e Prc: il 3 ottobre saranno a Roma assieme alle associazioni di settore. Intanto dagli studenti arriva una proposta salva-tutto: lasciare aperte le scuole il pomeriggio, così spazio a tutti i prof e ai costosi corsi di recupero. Ma i soldi? Quasi incurante della contemporaneità della manifestazione per la libertà d’informazione, decisa dalla Fnsi a seguito dell’attentato di Kabul in cui hanno perso la vita sei paracaduti italiani, sembra prendere quota la mobilitazione organizzata per il pomeriggio del prossimo 3 ottobre dal Coordinamento precari della scuola: nel corso delle ultime ore gli organizzatori della manifestazione, che si svolgerà a Roma, hanno incassato le adesioni di diversi organismi. E non solo quelle (associazioni, movimenti, forum, ecc.) che tutelano specificatamente i precari. Il sostegno comincia ad assumere una valenza trasversale. Tra tutte le adesioni sicuramente la più importante è quella della Flc-Cgil, che attraverso il suo segretario, Domenico Pantaleo, ha fatto sapere di “lavorare per garantire il successo di tutte le iniziative di mobilitazione mantenendo la massima unità del fronte di protesta”. Secondo Pantaleo “la manifestazione indetta dai Comitati dei lavoratori precari della scuola del 3 ottobre è quindi un’altra importante occasione, nel percorso di mobilitazione e di lotta contro la precarietà e contro la politica scolastica di questo Governo, per sostenere la piattaforma rivendicativa presentata durante la manifestazione a Montecitorio del 15 luglio”. Intanto sempre la Flc-Cgil ha anche annunciato che giovedì 24 settembre incontrerà studenti, docenti, precari e personale Ata nell’auditorium dello storico liceo Tasso di Roma, per illustrare lo stato dell’arte dei tagli agli organici: l’intenzione del sindacato di via Leopoldo Serra è iniziare a costruire nelle scuole dei “Comitati unitari genitori, docenti, precari e personale Ata in difesa della scuola pubblica”. Alla manifestazione del 3 ottobre ci saranno poi almeno due rappresentanze studentesche: l’Unione degli studentie la Rete degli studenti: “il governo – ha spiegato il portavoce della Rete degli studenti, Luca De Zolt – mette in atto un licenziamento collettivo che pesa sui destini personali delle persone, ma che pesa anche sul futuro della scuola pubblica e quindi sul futuro di noi studenti che siamo tra i banchi”. La protesta degli studenti si muove in risposta ai licenziamenti e alla riduzione di ore d’insegnamento settimanale. La Rete ripropone, dopo averlo già chiesto alcuni giorni fa direttamente al ministro Gelmini durante un incontro a viale Trastevere, l’apertura delle scuole dopo la pausa del pranzo: in tal modo si troverebbe spazio per i docenti ora rimasti senza contratto e si farebbero svolgere agli allievi attività integrative. “Le scuole aperte al pomeriggio – ha sottolineato De Zolt – sarebbero un’opportunità per molti studenti e per le comunità locali di socialità e di crescita culturale, in particolare nelle zone dove la crisi è più dura. Garantire i corsi di recupero è invece un obbligo delle scuole superiori: non è possibile che ogni famiglia spenda 400 euro in ripetizioni private all’anno perché i corsi delle scuole sono insufficienti o inesistenti”. Un’idea che se non fosse per la penuria di fondi in cui versano le casse dello Stato potrebbe essere seriamente preso in considerazione. Ed anche il mondo politico comincia ad interessarsi alla manifestazione dei precari. Al centro delle polemiche anche lo stato di stallo sui contratti di ‘disponibilità’: “Questo governo – ha detto Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro e Welfare del Prc – sta procedendo al più colossale licenziamento di massa all’interno della scuola e dell’università pubblica e statale, si rifiuta di sedersi al tavolo con le Regioni per discutere della Finanziaria e arriva all’insulto di voler tagliare il Fondo per le persone non autosufficienti”. A proposito del numero di precari della scuola che quest’anno potrebbero rimanere senza lavoro e sussidi di disoccupazione, se non quelli canonici emessi in percentuali standard e con diversi mesi di ritardo, si parla di almeno 25.000 lavoratori.