Il giudice del lavoro premia la caparbietà della Uil Scuola. Che ora punta all’assunzione in ruolo dei precari con almeno due anni di supplenze continuative appellandosi una direttiva Europea. Intanto la sentenza potrebbe fare “giurisprudenza” per i migliaia di precari della scuola destinati a perdere il lavoro nei prossimi tre anni.
Una sentenza che potrebbe creare seri problemi ai bilanci dello Stato. Vanificando in gran parte i corposi tagli agli organici prefissati dal Governo per i prossimi tre anni. Ad emetterla è stato il giudice del lavoro di Viterbo, che nei giorni scorsi ha condannato il ministero dell’Istruzione a pagare da quattro a sei mensilità a ben 63 tra docenti e Ata, precari di lungo corso, che erano stati supplenti annuali nell’anno scolastico 2006/2007 in alcuni istituti di Viterbo e provincia. I precari nel settembre 2007 non furono riconfermati per un motivo identico a quello che si verificherà tra poco più di due mesi: i tagli agli organici.
Ma i supplenti in quell’occasione si rivolsero ai sindacati. E la Uil Scuola decise di tentare una strada che sino ad oggi non aveva riscosso mai consensi dai giudici, proprio a causa della peculiarità dei contratti scolastici: considerati da sempre non replicabili. Il sindacato ha però portato avanti un concetto molto semplice: come si fa ad interrompere dall’oggi al domani un rapporto di lavoro a personale che svolge questa professione da diversi anni?
Ma non solo: i suoi avvocati hanno fatto esplicito riferimento ad un’indicazione normativa, di carattere sovranazionale: il Decreto Legge del 2001, che recepisce una direttiva della Comunità Europea, la quale stabilisce l’eccezionalità del contratto lavorativo a tempo determinato. Il Dl della Comunità in sostanza dice che quando un lavoratore precario firma almeno due contratti a tempo determinato, che si succedano senza “soluzione di continuità”, il rapporto deve automaticamente essere trasformato a tempo indeterminato. Non solo: l’amministrazione è tenuta a dare delle spiegazioni per il mancato rinnovo. In caso contrario, senza una giustificazione valida della motivazione della risoluzione del rapporto a tempo determinato, la richiesta di assunzione in ruolo diventerebbe ancora più plausibile. Sembrerebbe però che il regolamento si riferisca solo al comparto privato. E questa interpretazione poco ottimistica è stata, evidentemente, data da tutte e altre organizzazioni sindacali, anche Confederali, di Viterbo; le quali non se la sono sentita di affiancare la Uil. Creando più di un dissapore.
Con la sentenza favorevole emessa qualche giorno fa, dal giudice Mauro Ianigro, le cose potrebbero però stavolta prendere una piega diversa. L’assenso del giudice, seppure parziale, visto che la Uil Scuola aveva chiesto un risarcimento più congruo e l’assunzione in ruolo dei precari, ha creato infatti un precedente importante. A cui in futuro si potrebbero in particolare appellare le decine di migliaia di precari, oggi con in tasca un contratto annuale ma che nei prossimi trentasei mesi sembrerebbero destinate a lavorare, se va bene, attraverso le supplenze brevi.
Esattamente così la pensa il segretario della Uil di Viterbo, Tonino Longo. Il quale però non solo già intende far estendere l’esito della sentenza del giudice viterbese a tutti i 247 docenti ed Ata che hanno fatto ricorso (quindi anche quelli che vantano meno anni di anzianità come precari): ma ritiene che questo sia solo un primo riconoscimento verso la chiamata in ruolo.
“È prevedibile che la sentenza – spiega Longo – inneschi una reazione a catena inarrestabile. Tra l’altro anche se il ministero dell’Istruzione impugnasse la sentenza, il pronunciamento dei giudici d’appello non potrà essere peggiorativo per i lavoratori. Noi – dice con aria seria – non siamo soddisfatti dell’entità del risarcimento. Questa è quindi solo la prima tappa di una lunga battaglia. Il nostro obiettivo finale è la stabilizzazione di tutti i precari”. Che in Italia sono, tra docenti e Ata, solo se ci si ferma a quelli che operano su posti liberi, riguarda almeno 150.000 lavoratori. Tanti, troppi. Ma sperare è sempre lecito: non costa niente