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Renzo, Elio, Piersilvio La «guerra a colpi di figli» Duello tra l’ex pm e il Cavaliere. Bossi e la «trota». Quella volta di Veltroni e Casini…

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ROMA — Belli, i figli. Preziosi. Adorabili. Anche se poi te li ritrovi con il pizzetto che gli esalta il doppiomento (tipo Cristiano Di Pietro, per capirci). No, davvero, tutto questo non importa. Perché i figli sono loro che diventano te. Sono loro che ti prendono il cognome e pure il nome. Sono le stesse tue smorfie, le stesse labbra, lo stesso modo di gesticolare. Pazzesco. Meraviglioso. Sono pezzi dell’animo. Del cuore. Del tuo cuore. Ma a un patto. Sì, a pensarci bene, a un patto. Quello di non finire, per colpa loro, sulle prime pagine dei giornali. Perché se ci finiscono, il papà è costretto poi a parlare come Geppetto: il mio Pinocchio, giuro, è proprio un bravo bambino. Diciamoci la verità: tra le tante appetibili (finché sarà possibile pubblicarle), l’intercettazione più interessante — e se mai ce ne dovesse essere una, dovrebbe essere ambientale — è quella relativa all’ultimo dialogo tra Antonio Di Pietro e suo figlio.

Cosa avrà detto il duro e incorruttibile Tonino al figlio che, come abbiamo letto, chiedeva cortesie per i suoi stimabili amici? Ieri, sull’Unità, a pagine 3, nella rubrica dove si fa chiamare in modo piuttosto eloquente «Zorro», Marco Travaglio sottolineava come appunto «il Giornale berluscomico dedichi mezza dozzine di pagine al giorno allo sciagurato figlio di Di Pietro, beccato a raccomandare amici a un dirigente dei Lavori pubblici poi trasferito dal padre… », con lo stesso impegno con cui, nel luglio del 2004, sorvolava invece sulla vicenda che coinvolse Marina e Piersilvio Berlusconi, «indagati col padre a Milano non per qualche raccomandazione, ma per ricettazione e riciclaggio nell’inchiesta sulla compravendita di diritti cinematografici in America tramite società off-shore (poi la loro posizione fu archiviata, ndr). Mario Cervi, sul Giornale, implorò i giudici: “Ci si rivolga al Cavaliere. Marina e Piersilvio, dirigenti di fresca età, non c’entrano…». Che poi, a pensarci, polemiche a parte, il punto era e resta in fondo questo: i figli quanto c’entrano? A volte, e questo uno come Umberto Bossi può testimoniarlo, i figlioli vengono usati. Per dire: due anni fa, il ventottenne Riccardo, primogenito del Senatur e della sua prima moglie Gigliola Guidali, espresse il desiderio di partecipare al reality-show «L’isola dei famosi » (contattato dalla Simo, lui s’era visto subito celebre naufrago ai Caraibi: antesignano di Luxuria e del bidello piangente Capponi). I ranghi della Lega insorsero però indignati, i colonnelli della Padania (Maroni, Calderoli etc) si dissero allibiti, buona parte della politica italiana avviò, sulla notizia, un banchetto memorabile.

Quasi quanto quello—in effetti però più simile a un tormentone —che ormai da mesi coinvolge anche l’altro figlio di Bossi, il Renzo, detto Renzino, vent’anni, nato dalle seconde nozze del Senatur con Manuela Marrone. Il Renzino che fa? Non riesce a conquistare la maturità. Niente. Tre volte, l’ha ripetuta (grazie anche a un ricorso al Tar), e tre volte l’han bocciato. La reazione del padre potete immaginarla. Un mugugno e una frase, divenuta ormai cult, rivolta al figlio che, sui giornali, qualche cronista generoso già definiva delfino. «Altro che delfino… tu, per me, sei piuttosto una trota…» (impossibile la traduzione dal celtico, ndr). Naturalmente non è poi mica sempre così che va: i genitori non perdono sempre la pazienza. A volte, infatti, sono fortunati. Esempio? Il ministro Ignazio La Russa. Che ha un figlio come Geronimo, avvocato, le idee chiare: «Uno con il mio cognome deve stare attento due volte. Perché da te si aspettano sempre il meglio. E perché se sbagli, danneggi tuo padre». Sante parole. Da invidiare. Prendete Pier Ferdinando Casini. Due anni fa, a passeggio nell’elegante Cortina, si sfogò con Chi: «Ahimè… mia figlia ama un comunista ». Lei, Benedetta. Lui, David. Casini: «Purtroppo questo David non lo vedrò mai leggere Libero…». Toni non affettuosi, ma indulgenti. I papà fanno i papà. Mai, comunque, come Clemente Mastella. Che di figli finiti sui giornali ne ha due: Elio, che — ricorderete — difende la villa di famiglia a Ceppaloni dall’assalto della troupe delle Iene, e Pellegrino.

Di quest’ultimo dette notizia Il Sole 24 ore: Pellegrino Mastella, 31 anni, figlio di Clemente (all’epoca ancora ministro di Grazia e Giustizia) e di Sandra Lonardo (all’epoca ancora presidente del Consiglio regionale della Campania) è stato ingaggiato dal ministero dello Sviluppo (alla cui guida c’era Pier Luigi Bersani, con Clemente compagno di banco a Palazzo Chigi) come consulente. Nel dettaglio, «l’incarico è quello di approfondire le specificità dei modelli anglosassoni e…». Commento— indignato — di papà Clemente: «Mio figlio è avvocato, quel contratto è regolare e poi, diciamolo, mio figlio se lo merita proprio…». Sul genere di merito, ha qualche perplessità Omar Calabrese, docente di semiotica all’università di Siena: «Questa è una stagione in cui, al ragionamento politico, prevale il buon senso di massa. E perciò l’idea che il potere possa essere usato non per ottenere il bene comune, ma solo il bene dei figli, può certamente deformare gravemente l’immagine di qualsiasi politico». Non casualmente, mentre Walter Veltroni spiega subito che i modesti 60 metri quadrati di casa a Manhattan destinati a Martina, la sua primogenita ventenne e talentuosa figliola appassionata di cinema, sono stati acquistati «grazie ai diritti d’autore del romanzo “La scoperta dell’alba”», Silvio Berlusconi anticipa tutti e annuncia che suo figlio Luigi, causa crisi, non potrà cambiare l’automobile. «Anche se poi lui certi problemi non dovrebbe soffrirli, avendo

Fabrizio Roncone
29 dicembre 2008

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