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Un giro di vite per i fuoricorso

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9/11/2008 – UNIVERSITA’, SCONTRO SULLA RIFORMA

ROMA
E adesso tocca ai fuori corso. Nell’ambito di una razionalizzazione della spesa universitaria non si può più tollerare che ci sia il 35-40 per cento degli studenti che scambia l’università per un parcheggio, ne ingolfa le strutture e si laurea in forte ritardo o, peggio, non si laurea affatto. Occorre intervenire. Ed è quello che si appresta a fare il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini che a questo fenomeno ha fatto riferimento ieri parlando a Sanremo nel corso di un seminario a porte chiuse riservato ai 140 direttori delle sedi territoriali di Confindustria.

L’incontro si è tenuto in mattinata all’hotel Royal. Si parlava di crescita economica, imprese e riforme istituzionali, presente il leader degli industriali Emma Marcegaglia. La Gelmini si è rivolta a un’assemblea chiusa e in un hotel blindato per evitare «comitati di accoglienza» da parte degli studenti. Neppure ai giornalisti è stato permesso avvicinarsi. «Non è vero che nella scuola sono stati fatti tagli esagerati – ha detto il ministro secondo la testimonianza di chi c’era – e non è vero che intendiamo chiudere le scuole di montagna, ma vogliamo solo accorpare le unità amministrative in maniera di produrre dei risparmi, senza toccare il servizio». Si è poi lamentata per la disinformazione che ha circondato i suoi provvedimenti e per le speculazioni politiche del caso. «D’ora in avanti – ha detto – farò molti incontri per spiegare la vera natura dei provvedimenti sulla scuola».

Poi è passata a parlare dell’università e in questo contesto ha inserito il discorso sui fuori corso, facendo subito un distinguo: «Ci sono studenti che vanno fuori corso perché lavorano, e questi vanno aiutati, ma ce ne sono altri che stanno all’università come in un parcheggio e non possono essere trattati allo stesso modo». In effetti il fenomeno dei fuori corso è un pesante fardello che grava sugli atenei italiani da almeno trent’anni, tant’è che cominciò ad occuparsene negli Anni 80 l’allora ministro Antonio Ruberti. Fino alla Riforma Zecchino del 3+2, su 100 iniziali iscritti se ne laureavano 25-27 e tutti gli altri abbandonavano, magari dopo aver frequentato l’Università per 7, 8, 9 anni. Da quando sono state introdotte le lauree brevi (2000-2001) il fenomeno si è attenuato e oggi si laureano circa la metà degli iniziali iscritti, ma più di un terzo lo fa al di là dei tempi dovuti. La questione ha anche un impatto economico, considerando che i fondi statali vengono elargiti in base al numero degli iscritti, tant’è che le università fanno pubblicità alle loro sedi proprio per attrarre studenti: più sono e più soldi arrivano, anche se – visti i risultati – molti di questi soldi sono di fatto sprecati.

«Il problema posto dal ministro esiste – dice Giorgio Allulli, direttore della Ricerca all’Isfol e uno dei maggiori esperti italiani di valutazione del sistema dell’istruzione – ma bisogna affrontarlo tenendo presenti tre punti: primo, che si è molto ridimensionato rispetto a 10-15 anni fa. Secondo, che il sistema si è già dotato di un criterio di ripartizione di alcuni fondi in base al quale si distribuiscono risorse incrociando il numero degli iscritti con quello degli esami sostenuti. Terzo, bisogna stare attenti a non premiare neppure solo le università che producono esami e quindi laureati perché si rischia la dequalificazione degli esami e la proliferazione delle lauree facili».

Per il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, la riforma Gelmini sulla scuola «taglia alcuni costi e rimette a posto i numeri. Ma non bisogna fermarsi qui. È necessario varare una riforma sul merito, sull’efficienza e sulla qualità. Quello che è stato fatto andava fatto, ora bisogna continuare su questi temi». «La scuola italiana così com’è non va bene – ha detto il leader degli industriali – a chi protesta dico che dovrebbe guardare la classifica a livello europeo. Siamo sempre stati negli ultimi posti. Non possiamo più andare avanti così. Le ultime aperture fatte sui ricercatori, l’attenzione al merito e all’efficienza degli Atenei sono significative e siamo convinti che la riforma della scuola e dell’Università sia molto importante».

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