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Università, arriva la contro-proposta di sindacati e associazioni

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Ad opera di 13 sigle legate a prof, ricercatori e studenti: no a tagli e blocco turn over contenuti nella legge 113 e spazio a sette “valori fondanti” a difesa dell’Università pubblica. Se invece passa l’attuale linea si andrà alla protesta ad oltranza. Alcune indiscrezioni parlano intanto di un rallentamento della manovra imposto dal Premier: consensi a rischio?

 

 

 

Le cronache sull’Università continuano a trovare spazio sulle prime pagine dei quotidiani: dopo le manifestazioni, le prime occupazioni degli atenei, le minacce del Governo e le denunce di alcune decine di studenti che manifestavano non autorizzati e contrastavano il “diritto allo studio”, la protesta contro i tagli ed il blocco del turn over universitario sembrava potesse incanalarsi verso una fisiologica regressione. Invece il 3 novembre sia gli studenti che i sindacati hanno dimostrato che sono ancora molto combattivi e che la loro contestazione potrebbe durare molto a lungo: per la prima volta si è parlato addirittura, qualora le cose rimanessero immutate, di “proteste ad oltranza”.

A farlo sono stati i rappresentanti di 13 “sigle” sindacali e di associazioni in rappresentanza di docenti, ricercatori e studenti che hanno presentato a Roma, presso il Dipartimento della Facoltà di Matematica de “La Sapienza”, il loro programma di rilancio dell’Università italiana. Un piano che si oppone con forza ai provvedimenti contenuti nella manovra finanziaria attraverso la proposizione di alcuni valori fondanti“, riassunti in sette punti, a difesa dell’Università pubblica: si va dall’assunzione graduale delle migliaia di precari che in questi anni hanno permesso agli atenei di funzionare alla necessità di attuare un organismo di coordinamento nazionale non corporativo, alternativo a Crui e Cun, capace di assicurare l’autonomia del sistema universitario ma aperto ai contributi del mondo del lavoro e delle imprese. Il piano intende poi rilanciare il diritto allo studio “effettivamente accessibile a tutti”, rivedere l’attuale offerta formativa basata sul modello 3+2, adottare “un efficace e credibile sistema di valutazione” della “qualità del prodotto universitario” e “del funzionamento di ogni articolazione del sistema”. Nel documento si indica infine la necessità di una riforma di dottorato basata su una formazione sul campo di tre anni.

Secondo i promotori del programma alternativo la sua presentazione pubblica rappresenta la dimostrazione pratica che non c’è da parte loro alcuna volontà a difendere l’attuale assetto accademico. Ma, allo stesso tempo, un suo rifiuto ed il mantenimento degli articoli contenuti nella manovra finanziaria (in partcolare i tagli per un miliardo e mezzo di euro e il quasi blocco del turn over) rappresenterebbe “la definitiva scomparsa dell’università pubblica mutandone radicalmente la natura, la missione, le finalità e l’assetto”.

Intanto, sindacati e associazioni hanno confermato lo sciopero generale dell’università del 14 novembre con una manifestazione nazionale a Roma. Ma non solo. “Se il governo non ci sentirà – ha detto Alberto Civica, del la Uil Pa-Ur Afam – moltissimi precari e ricercatori verranno licenziati: per cui la forma di attuale protesta rimarrà. E lo stesso accadrà per l’Università, dove senza soldi e senza turn over la spinta della contestazione andrà avanti ad oltranza”. Come per la scuola non si accettano poi ‘invasioni di campo’: gli attuali problemi in cui versa l’università “non sono risolvibili attraverso l’attuale contrapposizione tra sinistra e destra politica, ma va affrontato convocando le parti direttamente interessate al mondo universitario”, ha ribadito Civica.

Molto agguerriti sono sembrati anche i ricercatori: ” il piano del governo è inaccettabile – ha detto – perchè è stato programmato senza alcun criterio ed  in maniera indiscriminata”.
Nella piano alternativo vi sono anche novità sulle modalità di accesso alla professione di ricercatore e di docente: “attraverso la formazione sul campo – ha detto Marco Valerio Broccati, della Flc-Cgil – si accumulerebbe titoli e condizioni precoci di esperienza, come all’estero, del tutto trasparenti ed in grado di garantire una prospettiva valida di ricambio accademico indispensabile anche ai fini dell’innovazione”.
Anche molti docenti, la maggior parte, sono a fianco dei contestatori: “non siamo il popolo dei no – ha dichiarato Sergio Sergi, docente di Chimica all’ateneo di Messina – ma lo diventiamo quando si intendono realizzare tagli e normali blocchi di sostituzione dei professori che lasciano la cattedra. Sinora non c’è stato mai un confronto serio e si è andato avanti a colpi di decreti che non portano a nulla di buono”, ha concluso Sergi.
Per Alessandro Figa Talamanca, professore presso il dipartimento di matematica de ‘La Sapienza’ di Roma “sinora sono state prodotte una miriade di scemenze e dati falsi: stiamo assistendo – ha sottolineato Figa Talamanca – ad un groviglio di informazioni distorte che partono dai dati Ocse, quasi mai riportati ed interpretati con correttezza”.
Intanto, mentre docenti e ricercatori appaiono uniti lo stesso non si può dire per gli studenti: dopo i noti fatti di piazza Navona, secondo il Governo ascrivibili agli studenti di sinistra, mentre per la maggior parte dei presenti, anche insegnanti, sarebbero accreditabili ad estremisti di destra, sempre il 3 novembre si è tenuto il Consiglio nazionale degli studenti universitari: l’organismo che rappresenta gli studenti accademici al Ministero avrebbe dovuto avallare un documento unitario sui contenuti della legge 133 da presentare al ministero e attorno al quale intavolare una trattativa. Invece l’approvazione del documento non è arrivata: su 30 voti totali ha infatti incassati solo 12 preferenze. Ma forse quel che è più grave è che ben 11 rappresentanti non si sono presentati in segno di protesta: il documento è stato infatti realizzato dal Coordinamento per il diritto allo studio, associazione studentesca di stampo cattolico, che secondo la maggior parte dei delegati non rappresenta affatto le idee degli studenti. Tanto che avrebbe anche duramente condannato le contestazioni studentesche attuate negli ultimi giorni.

Esattamente come ha fatto il Governo: secondo il quotidiano ‘La Repubblica’ il Premier Silvio Berlusconi avrebbe infatti detto ai suoi più stretti collaboratori, anche della maggioranza, che “il clima è troppo acceso: adesso dobbiamo andare avanti con un po’ più di calma”. Il rischio di perdita di consensi avrebbe convinto il Presidente del Consiglio a frenare sui provvedimenti avviati dai Ministri Gelmini e Tremonti per ridurre gli sprechi negli atenei. Le indiscrezioni sono state subito smentite dal portavoce Bonaiuti, ma il redattore del quotidiano romano insiste: “Gelmini aveva detto che entro una settimana avrebbe presentato il piano sull’Università: vedremo se lo farà”. Da la tecnica della scuola

03/11/2008

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