In molte città scattano le prime denunce delle questure contro gli studenti. Domani riparte la mobilitazione nelle scuole
ROMA – Il governo rinvia la riforma dell´università. Il piano annunciato dal ministro Gelmini è stato bloccato dal premier Berlusconi, che teme l´accentuarsi delle proteste negli atenei e una perdita di consensi per l´esecutivo. Nelle città, intanto, parte l´offensiva delle questure che stanno inviando alle procure le informative sui cortei e le occupazioni dei giorni scorsi. E domani, nelle scuole di tutta Italia, riparte la mobilitazione.
Le manifestazioni di questa settimana, insomma, un effetto l´hanno avuto. E il Cavaliere non vuole correre rischi. Non ha alcuna intenzione di incendiare la piazza. Soprattutto in una fase in cui le proteste di studenti e professori sembrano sempre più intersecarsi con le difficoltà della crisi economica. «Ora – è quindi la scelta del presidente del Consiglio – andiamo avanti con un po´ di calma».
Il secondo passo studiato dal governo per ristrutturare l´Istruzione pubblica, dunque, verrà rallentato. Il provvedimento – stavano esaminando pure l´opzione di un nuovo decreto – era previsto per la prossima settimana, ma i tempi si allungheranno. Di un bel po´. Eppure solo quattro giorni fa l´intervento era stato annunciato con tutti i crismi dell´ufficialità dallo stesso ministro dell´Istruzione. «Entro una settimana presenterò il piano sull´università», aveva scandito dopo il sì del Senato alla sua riforma scolastica. Del resto, pure il Cavaliere fino a qualche giorno fa sfidava tutti gli scettici, compresi quelli del centrodestra, ripetendo: «E ora tocca all´università».
Qualcosa, però, negli ultimi giorni è cambiato. Le proteste degli studenti. Le manifestazioni dei docenti. La stagnazione dell´economia. Il clima nei confronti dell´esecutivo non è più lo stesso. Sul tavolo del premier i sondaggi lo confermano. Già una settimana fa i dati avevano impensierito l´inquilino di Palazzo Chigi, e adesso ha avuto una controprova. La riforma Gelmini non è «popolare», soprattutto è stata percepita in senso negativo dalle famiglie. «Non si può insistere subito sullo stesso punto», ha allora fatto sapere il Cavaliere. Bisogna che si calmino le acque per non trasformare la protesta in un rogo in cui si saldano studenti medi, studenti universitari e professori. Come va ripetendo Umberto Bossi «è inutile far unire anche gli universitari alla protesta della scuola». Il premier, insomma, ha dovuto prendere atto anche delle resistenze all´interno della maggioranza. «Occorre trovare i finanziamenti adatti – ha avvertito ieri il ministro delle Riforme – perché l´università è una cosa importante».
E in effetti il piano, che è già pronto nel cassetto del ministro dell´Istruzione, si metterebbe nella scia della manovra economica approvata a luglio scorso. Il decreto di Tremonti, cioè, che ha sforbiciato gli stanziamenti per gli atenei nei prossimi tre anni. Nel 2009 il Fondo per il finanziamento ordinario dell´università è stato ridotto di oltre 700 milioni, gli importi per l´istruzione universitaria di 1600 milioni, i soldi per il “diritto allo studio” ridotti del 60% e persino le risorse per le facoltà “non statali” – tanto care a Berlusconi – decrescerà di 60 milioni. Per il presidente del consiglio, quindi, «al momento è meglio evitare di andare subito anche sulla riforma dell´università». Un suggerimento su cui giovedì scorso ha battuto con insistenza pure il presidente della Camera, Gianfranco Fini. Il quale durante una colazione di lavoro, ha sottolineato i rischi di uno scontro che coinvolga i docenti e i giovani universitari. Gli esperti di An poi sono usciti allo scoperto chiedendo un confronto con tutte le parti in causa e bocciando preventivamente la strada del decreto e della fiducia. «Servirebbe – ammette anche Stefano Caldoro, socialista eletto dentro Forza Italia, impegnato a luglio come relatore della manovra Tremonti – un patto con il mondo dell´università. Un patto di stabilità condiviso». Anche perché la seconda puntata del pacchetto Gelmini prende spunto proprio dai “tagli” stabiliti dal ministro dell´Economia. Secondo alcune indiscrezioni, il progetto punterebbe a bloccare la «proliferazione» dei corsi, a cancellare le sedi distaccate considerate in eccesso e a trasformare gli istituti in Fondazioni di diritto privato (il decreto 112 già contemplava la “possibilità” per i singoli di atenei di compiere questa scelta che diventerebbe invece obbligatoria). Non solo. Il piano verrebbe accompagnato dalla “sospensione” dei concorsi per i professori – quelli già banditi nel 2007 e nel 2008 – al fine di rendere effettivo il blocco del turn over. Ai piani alti del ministero si sventola una ricerca in cui si evidenza come i docenti italiani assunti a tempo indeterminato siano circa 65 mila e in Germania “solo” 40 mila. Per Berlusconi, però, non è più il tempo di forzare la mano.
Nota: Repubblica 02/11/2008