ROMA (1 novembre) – Dopo il passaggio finale avvenuto martedì scorso al Senato, il decreto legge n. 137 del 1 settembre, il cosiddetto decreto Gelmini, è una legge dello Stato. Nella legge “recante disposizioni urgenti in materia di istruzione e università” sono previste misure quali il ritorno del voto in condotta, i voti in decimali al posto dei giudizi, il maestro unico, l’educazione civica. Mentre i tagli e le disposizioni contro cui gli studenti di mezza Italia stanno protestando, ormai da settimane sono/erano già contenute nella Finanziaria.
E nel ‘piano programmatico Scuola’. Per capire cosa sia questo piano è necessario fare alcuni passi indietro. Arrivando precisamente a giugno.
Nella Finanziaria, quella approvata in 9 minuti e mezzo il 18 giugno dal Consiglio dei ministri, all’articolo 64 e nella relazione tecnica era contenuta l’entità dei tagli che la scuola avrebbe dovuto subire nel prossimo triennio. E la manovra, è noto, è stata buttata giù poche settimane dopo la formazione del governo da Giulio Tremonti e dai suoi uffici.
Le modalità di realizzazione dei risparmi dovevano essere contenute in un apposito “piano programmatico Scuola’’ che Mef (ministero Economia e Finanze) e Miur (ministero Istruzione, Università e Ricerca) dovevano predisporre entro poche settimane. Ad oggi il ‘piano programmatico Scuola’ è stato steso su carta ed è davanti alle commissioni parlamentari Cultura e alla conferenza Unificata, che si è rifiutata di esaminarlo se prima il governo non rinuncerà alla possibilità di nominare un commissario ad acta nel caso che le regioni non razionalizzino la rete scolastica entro il 30 novembre. Questione che ha messo in allarme i governatori come ha spiegato Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni: «Se non viene eliminata quella norma le Regioni non parteciperanno alla conferenza unificata». Nei tagli è previsto che in tre anni a circa centomila persone tra supplenti e personale Ata non verrà riconfermato il contratto. Ovvero che se ne torneranno a casa.
Misure dunque già note a giugno. Eppure la ministra bresciana pare essersene accorta solo dopo l’estate. Forse perché, ritenendo lei stessa abnorme la cacciata in soli tre anni di centomila persone, ha sperato che la norma potesse venire accantonata. O diluita nel tempo.
Si arriva così ai primi di settembre quando in un incontro-scontro con Tremonti lei prova a spiegare al ministro che mandando a casa quasi centomila persone in tre anni non si diventa certo popolari. Tremonti, durante la discussione a Montecitorio, le ribatte: «Cara Gelmini, sei diventata ministro per volontà di Berlusconi e non grazie a voti presi tra la gente». Come a dire che del consenso non se ne deve occupare. Al titolare di via XX settembre non passa nemmeno per l’anticamera del cervello di rinunciare ai tagli sul personale alla scuola. Perché? Semplice: con i tagli agli inseganti precari e al personale Ata copre quasi 2/3 della manovra, 8 mld circa.
La Gelmini si fa insistente. Cerca di mediare e chiede almeno di diluire la cacciata dei precari in cinque anni e non in tre, come viceversa previsto dalla manovra. E’ a quel punto che Giulio sbotta: «Gelmini, mi hai rrrrotto… (come nella parodia tv di Corrado Guzzanti, ndr) i coglioni. La questione è politica. Se proprio insisti – minaccia – allora andiamo da Berlusconi e gli diciamo ‘o io o te’…». Lasciando ammutolita la povera Gelmini, che non reagisce e non replica. E soprattutto, cede. Per poi scoppiare in un pianto davanti al ministro dell’Economia, che però non mostra alcun ripensamento, né si intenerisce.
di Vasco Pirri Ardizzone Fonte: Comitati Insegnanti Precari
Nota: Il Messaggero 01/11/2008