Rendere il sistema più efficiente non risponde solo ad esigenze di bilancio, ma è anche un problema sociale e di uguaglianza sostanziale.
Il modello di riferimento va ricercato nell’importante esperienza del giugno 2001 nel quadro dell’attribuzione della personalità giuridica e dell’autonomia alle istituzioni scolastiche e dell’inizio del processo di decentramento – una partita ancora tutta da giocare per il settore istruzione – di funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni, che consentì di realizzare un programma condiviso con le Regioni di razionalizzazione della rete scolastica su tutto il territorio nazionale con una riduzione di circa 4 mila istituzioni scolastiche.
Ma una strategia condivisa tra Stato e Regioni è difficile da realizzare per la rinuncia finora da parte del ministro Gelmini a puntare su efficaci politiche di cooperazione attraverso l’adozione di strumenti generali di coordinamento, nel rispetto del principio di sussidiarietà.
Sul piano metodologico, infatti, non sarà quasi certamente condiviso il regolamento di riorganizzazione dell’amministrazione centrale e periferica del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, portato all’esame delle Commissioni Parlamentari, senza un preventivo confronto con le Regioni.
La mancata previsione di forme di coinvolgimento delle Regioni nella definizione degli indirizzi, dei criteri per l’organizzazione dei servizi sul territorio, per la determinazione delle dotazioni organiche di personale e dei criteri di ripartizione a livello regionale e così via rilancia gli elementi di criticità nel rapporto tra l’attore nazionale e quello regionale.
Eppure non sarebbe difficile ipotizzare, in previsione dell’attuazione del Titolo V, parte seconda della Costituzione, una disposizione che facesse riferimento all’obbligo di una partecipazione delle Regioni all’assunzione di decisioni nelle aree di intervento riferite al D.Lgs n. 112/98 ed all’art. 117, comma terzo della Costituzione.
Nota: TuttoscuolaFOCUS 25 ottobre 2008