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La cattiva informazione della signora Gelmini

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Sono ormai diversi mesi che il Ministro Gelmini, insieme ad altri suoi colleghi del governo Berlusconi, parla della scuola utilizzando argomentazioni e dati sbagliati. E così per giustificare i pesanti tagli alla spesa per la scuola avanza motivazioni prive di qualsiasi fondamento reale. Non siamo sicuri se scientemente o per incompetenza e superficialità, ma questo non cambia il risultato: la manovra del Governo è una scelta grave e immotivata.

Non siamo gli unici – per fortuna – a rilevare gli “errori” del Ministro.

Anche nel sito del CIDI, infatti, è stato pubblicato nei giorni scorsi un interessante documento scritto da Emanuele Barbieri (già Capo Dipartimento per la programmazione, le politiche finanziarie e il bilancio del MIUR nel precedente governo Prodi) dove vengono smentite, sulla base di dati pubblicati dallo stesso Ministero nei suoi resoconti annuali, tutta una serie di dichiarazioni che il ministro Gelmini continua a snocciolare per tentare, maldestramente, di coprire i tagli di Tremonti.

Ma vediamoli questi argomenti allo scopo di fare chiarezza e, soprattutto, per ripristinare un po’ di verità.

La spesa per l’istruzione (settore scuola).

Il ministro Gelmini ha ripetutamente affermato che la spesa per l’istruzione, in particolare quella per il personale, è fuori controllo e che negli ultimi 10 anni è aumentata di 10 miliardi a fronte di una diminuzione degli alunni.
Che la spesa per l’istruzione in 10 anni sia aumentata è persino ovvio, visto che dal 1997 al 2007 ci sono stati ben 5 rinnovi contrattuali. Ma non è vero è che sia aumentata rispetto al PIL. Al contrario, la spesa dal 1997 al 2007 è diminuita rispetto al PIL dello 0,2-0,3% circa in termini sia di spesa del MIUR che di spesa pubblica complessiva per l’istruzione (MIUR + oneri a carico degli EE.LL.). Oggi siamo al 3.29% contro una media OCSE del 3,8%. Inoltre in Italia va all’istruzione il 9,3% della spesa complessiva, mentre negli altri paesi la quota si aggira intorno al 13,2%. Non è vero, inoltre, che gli alunni siano diminuiti negli ultimi 10 anni: sono invece aumentati di oltre 152.000 unità (+ 2%) mentre il numero dei docenti è diminuito del 2,38%.
Quindi non è affatto vero che la spesa per l’istruzione sia fuori controllo.

Il 97% della spesa per l’istruzione è destinata agli stipendi del personale.

Sulla base di questa affermazione il ministro richiama sull’urgenza di ridurre il personale, riqualificare la spesa e innalzare le retribuzioni. Ma anche una tale affermazione è del tutto infondata.
Dai dati rintracciabili nelle annuali pubblicazioni del MIUR (“La scuola in cifre”) emerge che la spesa per gli stipendi del personale è il 74% della spesa complessiva, al di sotto, non al di sopra, della media europea e OCSE (la media OCSE di spesa per il personale è pari al 79,8% del totale). La voce stipendi è circa il 93% del bilancio del MIUR (cioè 39, 2 miliardi su 42 miliardi e 396 milioni di euro totali), su cui pesa l’onere degli stipendi e delle spese di funzionamento. I trasferimenti alle scuole da parte del MIUR sono pari infatti a 3,1 miliardi del suo bilancio, ¼ dei quali per il funzionamento e ¾ per le attività del POF, il resto è spesa per stipendi del personale.
Il ministro, nelle sue affermazioni, non vuole tenere conto che ci sono oneri a carico delle Regioni per circa 2 miliardi e 263 milioni di euro e degli EE.LL. per altri 8 miliardi per incombenze, quali edilizia scolastica, trasporto, mensa e diritto allo studio.
Delle due l’una: o il ministro dice bugie oppure non sa fare i conti. È più probabile la prima ipotesi perché è più funzionale a giustificare i tagli.

La spesa per alunno in Italia è più alta della media OCSE.

Anche su questo il ministro dice bugie oppure è male informata.
È vero che in Italia la spesa per alunno è mediamente più alta rispetto ai paesi OCSE, ma questo vale per la scuola primaria, 6.835 dollari per alunno contro 6.252, ma non per la secondaria di secondo grado dove la spesa di 7.648 dollari è leggermente inferiore alla media OCSE di 7.804.

Ma anche sulla scuola primaria non è completamente vero. Vediamo perché. In Italia il costo della spesa per l’integrazione scolastica degli alunni diversamente abili o per l’educazione degli adulti è interamente a carico (circa 96.000 insegnanti pari a circa il 12% del totale) del bilancio MIUR. In altri paesi sono state fatte scelte diverse e i costi di interventi diversi dall’insegnamento curricolare sono a carico di altri soggetti e non figurano nelle statistiche. Inoltre il MIUR retribuisce ben 25.000 docenti di religione cattolica, un costo questo che altri paesi non hanno. C’è da aggiungere che le condizioni orografiche dell’Italia sono diverse da paesi quali la Francia o la Germania: noi dobbiamo tenere aperte scuole anche con pochi alunni in molte zone di montagna per garantire il diritto allo studio dei bambini che certo non possono fare i pendolari. Infine, in altri paesi il costo di alcuni servizi (prestati da personale parascolastico) non gravano sul bilancio dell’istruzione, mentre in Italia queste funzioni sono tutte affidate alla scuola (il personale Ata). Quindi figura tutto nel bilancio dell’istruzione. Giuste o sbagliate che siano queste scelte diverse vanno tenute in debito conto se si vuole fare una corretta comparazione, perché non è consentito a nessuno di sommare grandezze diverse e trarre conclusioni affrettate sulla base di dati incompleti o disomogenei.

La rete scolastica.

Il ministro vuole ristrutturare la rete perché dai dati risulta che 700 scuole sono sottodimensionate e vanno adeguate ai parametri dell’autonomia scolastica.
Noi siamo stati protagonisti del processo autonomistico nella scuola, quindi il problema ci sta a cuore. Però, non bisogna far confusione tra le sedi amministrative (in tutto 700) e i punti di erogazione del servizio (dove ci sono gli alunni). Questi ultimi, secondo la FLC Cgil, andrebbero in larga misura mantenuti perché si tratta in gran parte di scuole dell’obbligo. In caso di chiusura di questi piccoli plessi, altri soggetti come EE.LL e famiglie dovranno farsi carico delle spese (700 milioni circa) di trasporto verso comuni più distanti. Qui non stiamo parlando di sprechi di denaro pubblico, ma di scelte di politica scolastica, come ci spiega bene l’Ocse nel suo rapporto quando afferma che non esiste una semplice relazione tra la spesa complessiva per l’istruzione e il livello di prestazione degli studenti. Un quarto dei punti di erogazione del servizio in Italia si trova in comuni montani con differenze da territorio a territorio (si passa infatti dal 74% della Basilicata al 5% della Puglia con una media nazionale del 24%). In queste scuole la presenza degli alunni è nettamente inferiore per tutti i livelli scolastici, in particolare per gli ordini oltre la scuola primaria. Ad esempio, nella scuola secondaria di I grado, il numero di alunni per scuola in un Comune montano è mediamente uguale a 109, a fronte di 231 alunni nella media delle scuole statali sul territorio nazionale.

I dati OCSE.

La statistica è un’arma a doppio taglio. Ci sono paesi OCSE, ad esempio Corea e Lussemburgo, dove i costi per studente in termini di percentuale del Pil pro capite sono ben superiori alla media (rispettivamente 15,5% e il 15,2% contro il 10,9% di media). Questi due paesi, pur avendo una media di spesa simile, hanno fatto scelte diverse. La Corea paga molto bene gli insegnanti ma al prezzo piuttosto elevato di più studenti per classe; in Lussemburgo l’alto costo per studente è quasi interamente dovuto alla dimensioni ridotte delle classi. Questa è la dimostrazione che i dati di cui si sta discutendo servono ai Governi per valutare accuratamente le loro scelte ed acquisire una maggiore comprensione di come le scelte politiche influiscano sul rapporto tra qualità e costi per aumentare l’efficienza dei servizi scolastici.

Il maestro unico e l’orario a 24 ore.

Qui siamo alla farsa. Nell’ambito della scuola statale la fascia oraria più rispondente alle esigenze dei figli e all’organizzazione familiare verso cui si orienta il 70,3% delle famiglie è quella tra 28-39 ore settimanali. Solo il 4,1% aveva scelto le 27 ore proposte dalla Moratti (dall’indagine dello stesso MIUR), mentre il 25,6% opta per il classico tempo-pieno di 40 ore.
Come si fa a scrivere una norma per la quale le classi devono essere costituite preferibilmente a 24 ore settimanali? Il numero di classi a tempo pieno è aumentato del 3,2% dal 2001/2002 ad oggi, nonostante la cura dimagrante sugli organici della varie finanziarie in questi anni. È vero che l’Italia investe nella scuola primaria più risorse della media Ocse (6.835 dollari per alunno contro 6.252 dollari). Questo farebbe pensare che togliendo mezzo maestro in più per classe (mezzo maestro,non tre per ogni classe come ama ripetere il male informato Ministro Gelmini) si sia trovata una fonte di risparmio. Ma il ritorno al maestro unico aggraverebbe i problemi delle famiglie, scaricando altrove i costi. Ma non dimentichiamo che queste spese sono ben ricompensate dai risultati di qualità della nostra scuola elementare come riconoscono tutte le indagini europee ed internazionali. Infatti il tempo pieno è un modello pedagogico-didattico ricco, non il doposcuola per la gente povera.
Infine, imporre per decreto (bella riforma!) il maestro unico è un fatto grave che viola persino la Costituzione, la quale garantisce l’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole, autonomia che non può essere pregiudicata, come pure ha chiaramente ribadito dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 13 del 2004.

L’obbligo scolastico.

Prima Moratti poi Gelmini si dilettano a giocare al ribasso. In Italia c’è un ritardo storico e un gap culturale rispetto ad altri Paesi europei, con punte critiche soprattutto in alcune regioni del sud, che arrancano nello sviluppo economico e nei processi di modernizzazione. È solo in tempi relativamente recenti che da noi si parla di obbligo scolastico fino e oltre i 16 anni. Altri Paesi della Comunità Europea sono molto più avanti da più tempo. In Inghilterra, ad esempio, l’obbligo di istruzione gratuita da 5 a 10 anni è del 1880, fino a 14 anni è del 1918 e fino a 16 anni è del 1970. La Gelmini, come la sua predecessora, ha riabbassato a 14 anni l’obbligo scolastico riportato da Fioroni a 16 anni solo 2 anni fa. Non è un caso se poi in Italia ci sono dei fenomeni fortissimi di analfabetismo di ritorno e di abbandono. Se si vuole elevare il livello culturale e scolastico del paese bisogna investire e non tagliare. Il contrario di quello che fa il ministro anche nel campo dell’istruzione per gli adulti.

In conclusione
  1. L’uso e la conoscenza dei dati è importante ma non può essere usato strumentalmente per giustificare tagli insensati. Sarebbe più corretto trarne spunto per migliorare davvero la scuola anche con un maggiore investimento.
  2. Quello che il ministro tanto pomposamente chiama “riforma” è solo una manovra di tagli e sottrazione per mandare in malora la scuola pubblica. Non hanno alcuna efficacia nella soluzione dei problemi, essi servono unicamente ad una riduzione secca di oltre 130 mila lavoratori (dietro ci sono più di 130.000 famiglie) secondo le stime contenute nella relazione tecnica del Miur, ma che, secondo lenostre stime, potrebbero diventare molti di più (150.000) per il numero crescente di abbandoni a seguito di un sistema scolastico reso dequalificato proprio dalla politica dei tagli, cui si aggiungerà la diminuzione di studenti nella scuola superiore per effetto della cancellazione dell’obbligo scolastico a 16 anni.
  3. Se lo scopo è quello di intervenire sul sistema, il ministro deve porsi l’obiettivo di utilizzare al massimo le risorse oggi esistenti, per poter più efficacemente e velocemente realizzare i cambiamenti.
  4. Il piano Gelmini-Tremonti è un impedimento e un ostacolo al ringiovanimento della classe docente e degli altri lavoratori che deve sempre accompagnare un processo di cambiamento. Con i tagli agli organici si mandano a casa i più giovani, gli attuali precari, che da molti anni (anche 20!) contribuiscono con la loro professionalità a formare alunni e studenti.

Il governo vorrebbe reinvestire solo una piccola parte dei risparmi prodotti con i tagli. E siccome la spesa complessiva, come abbiamo dimostrato, è più bassa rispetto alla media OCSE. questa è un’ulteriore conferma che si vuol fare solo un’operazione di diminuzione della spesa e di smantellamento della scuola pubblica.

Per tutte queste ragioni è necessaria una massiccia adesione allo sciopero della scuola, proclamato per il 30 ottobre.

Roma, 14 ottobre 2008

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