Presto le Camere saranno chiamate a esaminare ed approvare il disegno di legge sul federalismo fiscale approvato dal Consiglio dei Ministri. La proposta legislativa del governo assegna all’esecutivo il compito di stabilire, in ogni dettaglio, i caratteri della riforma attraverso delegati delegati.
L’emanazione dei decreti dovrebbe essere preceduta da un passaggio importante la Commissione paritetica Stato-Regione, dove siedono due rappresentanti dello Stato e due della Regione siciliana.
Alla Commissione paritetica spetta il compito di discutere i rapporti finanziari fra lo Stato e la Regione siciliana. Questo confronto, previsto dallo Statuto speciale, sulla carta non potrebbe essere eluso dal governo nazionale.
Un ordine del giorno approvato dall’Assemblea regionale il 16 settembre scorso, su proposta del gruppo parlamentare del PD, impegna il presidente della Regione “a tutelare le prerogative dello Statuto e a tal fine a porre in essere, in sede di Conferenza Stato-Regione ogni iniziativa utile a definire il parere della Regione sulla ipotesi di riforma federalista solo dopo la sua definizione in sede di commissione paritetica Stato-Regione, salvaguardando in tal modo le prerogative pattizie dello Statuto siciliano”.
“L’ordine del giorno approvato ieri dall’Ars fissa dei paletti importantissimi rispetto alla riforma federalista”, osserva Antonello Cracolici, presidente del gruppo PD all’Ars, “Lombardo, infatti, potrà definire qualunque decisione solo dopo un passaggio dalla Commissione paritetica Stato-Regione. Il dibattito sul federalismo non è una faccenda privata fra Lombardo e Calderoli”.
“In questo modo – aggiunge Cracolici – il dibattito sul federalismo viene finalmente incanalato nelle sedi istituzionali preposte: la commissione paritetica, nella quale siedono due rappresentanti dello Stato e due della Regione, è l’unico luogo nel quale si possono discutere i rapporti finanziari fra Roma e la Sicilia”.
Dal 16 settembre od oggi sono successe tante cose, la più importante è certamente l’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri, e la decisione di attribuire al governo ogni ulteriore adempimento per avviare la riforma.
La Commissione paritetica però non è stata convocata, e il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, ha dovuto registrare una sconfitta: dopo avere ricevuto assicurazioni da parte del Ministro Calderoli che le accise sarebbero state pagate alla Sicilia da parte delle aziende che producono nell’Isola, c’è stato un ripensamento a causa del parere contrario da parte della Lega e del Presidente della Regione Lombardia, Formigoni, e delle difficoltà di mettere insieme alleanze politiche e istituzionali su una questione che interessa prevalentemente la Sicilia.
Nonostante Lombardo abbia cercato di mettere insieme le regioni meridionali, chiarendo che le accise avrebbero dovuto essere pagate in tutte le regioni in cui si produce, è prevalso l’orientamento contrario, che le accise vadano a tutte le regioni, nessuna esclusa. Lombardo ha commentato amaramente che mentre le risorse sono “spalmate”, i danni ambientali vengono subiti solo dalla Sicilia, che ospita industrie altamente inquinanti, come la petrolchimica.
La sensazione che Lombardo abbia dovuto muoversi da solo, anche per sua scelta, in questa circostanza è avvalorata da molti episodi. Indubbiamente motivazioni politiche forti gli devono averlo consigliato di non coinvolgere il Parlamento regionale, forse ritenendo che un passaggio in Aula, formale, con una mozione (e non un semplice ordine del giorno), avrebbe reso ancora più difficile lo slalom fra governo nazionale, Lega, Conferenza delle Regioni ed opposizione parlamentare a Roma e Palermo.
Dall’Assemblea, inoltre non sono venute sollecitazioni forti. L’ordine del giorno non è certo uno strumento risolutivo.
Mentre l’iter della riforma procede spedito, quindi, a Palermo ci si limita ad attendere gli eventi. La forza di un ordine del giorno è praticamente nulla. Se viene disatteso non succede assolutamente niente. La stessa mozione, pur impegnando il Presidente della Regione con maggiore autorevolezza, è ormai spogliata di alcuna sanzione. Se il Governo disattende le sue indicazioni, non accade nulla, essendo ormai di fatto venuta meno la sfiducia parlamentare e la conseguente crisi di governo. Una mozione sprovvista della sfiducia è una tigre di carta.
L’assenza della mozione di sfiducia non è stata bilanciata dall’introduzione di regole che permettano al Parlamento nella sua intereezza, ed all’opposizione parlamentare, di esercitare appieno la sua funzione.
Questa condizione, tuttavia, non giustifica l’assenza del Parlamento siciliano in una fase cruciale della vita dell’autonomia siciliana.
Il disegno di legge approvato dal governo nazionale svela peraltro un indirizzo politico sulla riforma che non avvantaggerà certo la Sicilia. Tocca al Parlamento regionale esprimere le preoccupazioni che questo indirizzo suscita e mettere in campo le iniziative più utili affinché la Sicilia sia accettata come un interlocutore politico essenziale nella partita del federalismo fiscale.
Ma una iniziativa siciliana metterebbe in difficoltà le manovre romane sul federalsimo.
Quindi tutti in silenzio.
Da SiciliaInformazioni