Non è scandaloso voler riformare la scuola, ma lo è pretendere di farlo senza ascoltare nessuno, zittendo i critici e imbavagliando i tecnici.Ma è ancora possibile scandalizzarsi? Oppure l’assuefazione al peggio rischia di intorpidire i cervelli rendendoli insensibili ad ogni spudoratezza? Berlusconi l’ha detto: intende governare per decreti. E lo sta facendo con grande coerenza, almeno dal suo punto di vista. Così adesso arriva nell’aula della Camera un decreto davvero scandaloso, quello sulla riforma della scuola. Intendiamoci: non è scandaloso voler riformare la scuola, ma lo è pretendere di farlo per decreto, e cioè senza ascoltare nessuno, zittendo i critici e imbavagliando i tecnici. Per di più, su questo decreto sarà posta la fiducia, così da strangolare anche il dibattito parlamentare, che per il governo è solo fonte di insopportabili lungaggini, con buona pace di quel faticoso esercizio che si chiama democrazia.
L’abuso della decretazione, come è noto, è parso intollerabile anche a Fini, che ha fatto sentire la sua voce in difesa dell’autonomia del Parlamento. Forse il soprassalto di orgoglio istituzionale del presidente della Camera ha altre origini, e infatti si è molto discettato sul suo bisogno di ritrovare un ruolo da protagonista per garantirsi un futuro politico. Ma resta il fatto che se perfino lui ha sentito il bisogno di richiamare il premier al rispetto del Parlamento, vuol dire che l’equilibrio dei poteri costituzionali è davvero in pericolo.
D’altronde, quella di Fini non è una voce isolata: anche intellettuali e giuristi hanno lanciato gridi d’allarme. Ma né l’uno né gli altri hanno prodotto alcun effetto: il premier va dritto per la sua strada. E non si può fare a meno di avvertire la sgradevole sensazione che, in fondo, tutto questo piaccia ai tanti che guardano con fastidio alla complessità e preferiscono di gran lunga la semplificazione, per brutale che sia. Eppure questa volta uno spiraglio esiste.
La scuola, si sa, è come i fili dell’alta tensione: chi li tocca muore. Lo sanno bene i predecessori di Maria Stella Gelmini, che prima di lei si sono cimentati in tante, anzi troppe, riforme dall’esito non proprio trionfale. E’ vero: si sono scontrati con sindacati restii ad ogni novità e impegnati, tra confederali e autonomi, a rincorrersi l’un l’altro. Ma si sono anche imbattuti in un’opinione pubblica ipersensibile. Già, perché se c’è un settore che tocca da vicino la vita delle famiglie questo è proprio la scuola. Tutta la scuola, ma quella elementare in particolar modo, perché è lì che si incrociano le esigenze dei bambini, che la frequentano, con quelle dei genitori, che lavorano. Si capisce che siano attentissimi a tutto ciò che si muove nell’universo scolastico. Ne hanno fatto le spese sia Berlinguer che la Moratti. E ora sarà peggio: il tempo pieno era riuscito a far quadrare il bilancio economico e anche quello temporale delle famiglie, la riforma Gelmini rischia di sospingerle nel caos.
Insomma, l’argomento scotta anche per una star dei sondaggi come Berlusconi. Infatti l’indice di gradimento della riforma scolastica è assai basso. E se perfino i sindacati hanno abbandonato le loro lotte intestine per schierarsi sul fronte del no, significa che la pressione dell’opinione pubblica è davvero pesante.
Il governo continua a non sentire, per le note ragioni di cassa. Dopo aver allargato i cordoni della borsa su Ici e Alitalia, si vede costretto a stringerli sulla scuola. Ma il rischio di incrinare il rapporto ipnotico che Berlusconi ha con la sua gente su questo terreno è assai concreto. E dunque sì, vale la pena di scandalizzarsi. E anche di sbandierare la propria indignazione. Questa può essere l’occasione per il Pd di ritrovare sintonia con i cittadini. Vale la pena di coglierla.