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Il PD siciliano alle prese con regole e deroghe. La difficile impresa di rinnovare un partito.

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I democratici siciliani s’interrogano in vista del varo del loro statuto e dell’assemblea regionale del Pd. Una manciata di regole ed una spruzzata di deroghe da introdurre in un alambicco. L’intruglio avrà il compito di lasciare dove sono quelli che ci sono.

Siamo alla vigilia della riforma federalista che investirà come un tornado la Sicilia, c’è un’opposizione che naviga a vista, ci sono vaste aree

 

della Sicilia in cui il PD è praticamente inesistente, ci sono confittualità palesi, frustrazioni, scoramento e irritazione da superare.  E un  invito al rinnovamento, pressante e convinto, rivolto ai siciliani da Walter Veltroni, cui i siciliani  avevano chiesto il rinnovamento del gruppo dirigente nazionale.

La circolarità della richiesta la dice lunga sullo stato dell’arte.

Un partito senza progetto, obiettivi, dirigenti “accettati”, in crisi d’identità, che stenta a diventare un interlocutore politico), medita sul rapporto tra regole e deroghe. Quale soglia di sbarramento infliggere a chi da una vita sta ai vertici e non molla la presa nemmeno sotto tortura?

Quanto deve contare l’esperienza e quanto il rinnovamento, essenziale per aprire il partito a risorse nuove?

A proporre la questione sarè Giuseoppe Lumia, Presidente dell’assemblea regionale del PD, che si trova in Parlamento da quattro legislature.

La disputa imoziona gli addetti ai lavori, perché da essa dipendono gli equilibri futuri.

Non bisogna disperdere le esperienze riconosciute, ragionano gli uni; bisogna dare una svolta seria, regalando all’opinione pubblica l’immagine di un partito che punta sui giovani, capace di rinnovarsi, non arroccato nel bunker, sostengono altri.

E’ un brutto segnale, perché propone prioprità incompaibili con un partito appena nato.

I problemi non nascono da un giorno all’altro.

L’area diessina, ex comunista, si porta dietro una decennale incapacità di rinnovamento. E’ come impietrita, incapace di guardare fuori dalle quattro mura di casa.

Era pure così il PCI?

All’esterno invero il Pci riusciva a dare di sé l’immagine di un partito “aperto”,  grazie alle candidature di personalità esterne, che venivano elette. Poteva permettersi di assicurare l’elezione, senza venire meno di parola.

Ma si trattava di esterni che restavano esterni, fatte alcune eccezioni. Nient’altro che un messaggio comunicazionale, personaggi simbolo da incorniciare come parole d’ordine del partito. Regalavano al Pci una immagine ben netta, grazie ai familiari delle vittime del terrorismo, della mafia, di una prepotenza e soprusi. La storia di famiglia costituiva un messaggio forte nelle campagne elettorali.

E il consenso arrivava, puntuale. Consenso verso le posizioni nette che il Pci assumeva sui grandi temi del terrorismo, della mafia e della legalità, consenso verso  un partito che si apre all’esterno.

Si trattava di tattica, non di strategia.

Un sacco di gente credette che il partito fosse veramente “aperto”, e invece non lo era.

L’area popolare del PD, proveniente dalla Democrazia Cristiana, ha confezionato un abito d’inamovibilità fatto su misura: duttilità, furbizia e intelligenza politica, capacità di ereditare se stessi senza fare arrabbiare nessuno. I dirigenti della DC raggiungevano punte record di permanenza, ed ancora oggi dimostrano di possedere la virtù della longevità.

Queste antiche “botteghe” della politica assomigliano a quelle dei grandi artisti del rinascimento: forgiano maestri d’inamovibilità, un impasto ben riuscito di pragmatismo e idealismo distribuito in dosi corrette.

Il PD accoglie anche altro, ma al timone ci sono gli “ex”.

Il dibattito sul pensionamento dei parlamentari, che tiene desta l’attenzione del gruppo dirigente, è figlio di questa tradizione.

Come fare per liberarsi dei chi ha fatto tre o quattro legislature?

La risposta non verrà mai o, se verrà, si portarà dietro le deroghe, pronte a smentirla, com’è successo altre volte.

E poi è davvero questo il problema?

Non si potrebbe cominciare, per esempio, dalla parentopoli interna al PD, introducendo la regola che i seggi parlamentari non si trasmettono ai congiunti?

 

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