Se si abolisse il Parlamento regionale, chi si dispererebbe? Autonomia, un’occasione storica sprecata. La storia non perdonerà i responsabili.
Ripensare l’autonomia? Non c’è più tempo, forse.
Forse la Sicilia ha perso l’autobus.
Non è la prima volta, non sarà l’ultima, ma l’occasione sprecata è di quelle che la storia non perdona. I nostri nipoti leggeranno sui libri che la Sicilia si guadagnò uno Statuto federalista e non ne seppe fare uso, anzi lo usò per alimentare una oligarchia devota agli interessi di pochi. Leggerenno a chiare lettere che anche i “buoni”, cioè quelli che si spendono per migliorare le cose, per generosità e senso civico, competenza, sbagliarono, imbrigliati nelle maglie dell’oligarchia o accecati dall’ideologia, da cupi pregiudizi e valori tribali.Non stiamo elaborando un necrologio, ma riflettendo sui fatti.
Il bilancio di 60 anni di autonomia è pessimo. I soldi generosamente spesi per festeggiarne gli anniversari hanno rinnovato la ferita, invece che sanarla.
La Sicilia non ha tratto alcun vantaggio dalla sua specialità. Ci sono regioni d’Italia, partite dietro alla Sicilia – come il Veneto – che hanno raggiunto traguardi straordinari. La Sicilia no, è rimasta in coda.
Una ragione deve esserci, quella che appare la più plausibile e semplice chiama in causa proprio il sistema siciliano, nato e cresciuto nelle istituzioni rappresentative, la pietra angolare della specialità.Oggi la sensazione è che si sia arrivati ad un punto di non ritorno.
Che cosa ce lo fa dire? Non c’è Regione in Italia che non abbia esaminato ad ogni livello e in ogni dettaglio il federalismo fiscale – che cosa è, che cosa potrebbe essere, ciò che provocherà, quanto costerà ed a chi – in Sicilia invece non è successo niente di niente.
Il Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, si è speso per ottenere le migliori condizioni di partenza allo start-up del federalismo fiscale. La sua sfida titanica non aveva, e non ha, alcuna possibilità di successo a causa di un contesto politico che non attribuisce alla Sicilia una presenza politica influente. La folta presenza di ministri siciliani non significa niente. Non contano niente.
Nell’opposizione, non ci sono leader siciliani che abbiano voce in capitolo a Roma.
La partita si gioca senza la Sicilia, nonostante i tentativi di Lombardo. Il quale, peraltro, non può contare sul Parlamento: ogni sforzo, anche il più diligente, è destinato ad arenarsi sul bagnasciuga dei poteri forti.
Ci fu un momento assai vicino a quello attuale nell’Isola, alla fine degli anni cinquanta, quando si diede a Roma una risposta “rivoluzionaria”, fuori dagli schemi della politica di allora, il governo Milazzo. Una risposta che si sarebbe rivelata inadeguata, ma assai rappppresentativa degli umori di quel tempo. Fu un tentativo di reagire ai diktat dei partiti onnipotenti, una drittata di furbastri ed insieme un sogno audace.
L’autonomia speciale, cancellata dai partiti centralisti, tentò di riprendersi quello che gli era stato tolto.
Fu un fallimento. Qualcosa ricorda quel tempo, nonostante la profonda diversità. I parlamenti nominati dal leader, i partiti spogliati di ogni regola democratica, regalano un quadro desolante di immobilità. La volontà di Roma non può essere messa in discussione da alcunoa causa dell’enorme potere delle leadership.
Il Parlamento regionale una dependance dell’oligarchia romana.
Nessuno può chiamarsi fuori. Ma una selezione delle responsabilità va fatta comunque, almeno in un’urna elettorale. Lo sappiamo bene che è troppo poco, ma è ciò che resta quando non ci si è conquistati la consuetiudine alla partecipazione, a battersi per i diritti non riconosciuti: il diritto al lavoro, ai servizi efficienti, il diritto di sapere ciò che il Parlamento fa.
La maggioranza parlamentare, il PDL, rinuncia al suo ruolo di rappresentanza delle istanze isolane, l’opposizione si batte per discutere con una mozione il trasferimento dell’autobus Rai a Milano e non mostra la stessa grinta per dire la sua sul federalismo.
Lo spreco di risorse è intollerabile, ogni tentativo di mettere in discussione in superfluo fa scattare reazioni dure e registra silenzi inconfessabili.
E’ arrivato il momento, perciò, di mettere in discussione tutto, anche la stessa esistenza dell’Assemblea regionale, riflettere se sia ancora giustificato investire in un’autonomia speciale che sottrae risorse alla Sicilia senza dare in cambio nulla.
L’autonomia è un tabù, del suo presidio essenziale, il Parlamento, finora non si è mai potuto discutere.
Proporre l’abolizione di un Parlamento sarebbe come abolire la democrazia?
L’Assemblea ha il compito di dare risposte ai bisogni dei cittadini, di essere vicina alla gente. I cittadini, grazie al Parlamento, devono potere decidere su ciò che li riguarda. Il presupposto, dunque, è la capacità di rappresentare i bisogni, la possibilità che si offre ai cittadini di essere ascoltati ed ottenere risposte. Se manca il presupposto, tutto il resto non ha alcun senso.
Ripensare l’utilità del presidio di democrazia “regionale” non è affatto un’eresia.
Queste considerazioni fino a pochi anni fa, sarebbero state accolte con sconcerto e irritazione. Un tradimento verso la Sicilia e i padri fondatori dell’autonomismo. Oggi sono sulla bocca di molti. Una riflessione sull’esistenza stessa del Parlamento regionale è ritenuta plausibile sulla base di considerazioni semplici, legate alle quotidiane delusioni che l’autonomia speciale regala.
Il Parlamento regionale ha un’immagine pessima. Un’idrovera che sperpera il denaro dei cittadini, e non affronta i problemi della gente. Un’istituzione che non vuole fare sapere ciò fa, perché ritiene di non dovere dare conto a nessuno e costruisce un bunker di regole e norme a salvaguardia della sua permanenza e dei privilegi di cui dispone.
Che sia reale o meno, questa immagine, ormai è ininfluente.
E’ questo che la gente crede.
Forse è troppo tardi per correre ai ripari.