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Camera dei Deputati, Senato, Assemblea siciliana: quanto costano, quali privilegi hanno. Il ragioniere guadagna più del Presidente della Repubblica

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In Italia le Camere sono tre e non due: la Camera dei Deputati, il Senato della Repubblica e l’Assemblea regionale siciliana. La Costituzione ne prevede due, la Camera e il Senato, ma lo Statuto siciliano è speciale, affida al Parlamento regionale funzioni e prerogative che le altre assemblee legislative non hanno. E quelle che non ha se le prende lo stesso e fa ciò che vuole sia nell’organizzazione del lavoro e nel trattamento dei dipendenti, sia nella concessione di risorse, compensi, benefit e indennità a parlamentari e personale. 

Un inventario completo dei privilegi non è possibile farlo perché una rigida consegna del silenzio non fa uscire niente fuori dai Palazzi. La trasparenza, insomma, non è certo una virtù dell’Assemblea regionale, del Senato e della Camera.

Senato e Camera salvano almeno la forma, mentre Palermo non salva nemmeno quella.Perché questi privilegi sono consentiti e nessuno se ne adonta?

Di tanto in tanto si viene a sapere qualcosa, chi legge s’indigna e poi tutto resta come prima. Pare davvero impossibile, mettere in discussione i privilegi, talvolta intollerabili.

Una ragione c’è: chi li decide, non deve dare conto a nessuno. Le assemblee legislative, infatti, godono di una prerogativa: non possono essere controllate da organi esterni, a differenza di ogni altro ente o istituzione pubblica. L’autonomia amministrativa è la madre di tutti i privilegi: trova una legittima soddisfazione nella sovranità del Parlamento. I rappresentanti del popolo, scelti dai cittadini, non devono essere controllati e sanzionati da altri poteri. Il principio è condiviso ovunque nel mondo, ma in Italia ne approfittano per fare ciò che vogliono o quasi.

In che modo?

Concedono stipendi d’oro, finanziano i partiti e i gruppi parlamentari, distribuiscono pensioni da favola, offrono benefit.

Il principio, la maniera in cui esso viene utilizzato, sbagliato, davvero irritante.

Delle tre Camere italiane, inoltre, l’Assemblea regionale siciliana è quella che se ne approfitta di più perché i privilegi che essa “si assegna” sono giustificati su un presupposto infondato, il cosiddetto parametro con il Senato. Né lo Statuto speciale della Regione siciliana, né la Costituzione della Repubblica fanno alcun cenno al parametro con il Senato. Eppure esso viene adottato come fosse una norma costituzionale.

 

Che cosa è il parametro?

Una perequazione dell’Assemblea con il Senato della Repubblica, che discende da una scelta, quella iniziale, compiuta legittimamente nel 1946 da coloro che fecero nascere il Parlamento regionale. Secondo un aneddoto ricorrente, che potrebbe essere solo una leggenda, la scelta fu compiuta dal primo Presidente dalla Regione, Giuseppe Alessi: fu una scelta giusta anche questa perché mirava a dare prestigio al Parlamento regionale. Venne tradotta dal consiglio di presidenza dell’Assemblea in norme concrete, cioè un adeguamento del trattamento economico dei deputati regionali ai senatori della Repubblica.

Questa scelta iniziale non è né irreversibile né è attribuita da una norma costituzionale, perciò chiamare in causa il parametro ogni qualvolta si aumentano gli stipendi ai deputati ed al personale, o si assegnano benefici ed altro a coloro che abitano il Palazzo dei Normanni, la sede dell’Assemblea siciliana, è una solenne bugia.

Nessuno però può metterci il naso. Per questa ragione la pensata, legittima per carità, di fare del Senato il punto di riferimento dell’Assemblea regionale, è una norma non scritta alla quale il Parlamento regionale siciliano non intende derogare. Dubitare sul parametro costituisce un attentato al Parlamento.

 

Quando trapela all’esterno un aumento degli stipendi, generalmente consistente, c’è qualcuno che con la faccia afflitta la spiega con il parametro, quasi che fosse addebitabile a questo meccanismo di adeguamento l’indicibile sofferenza che impone l’aumento degli stipendi ed il resto. Basterebbe una legge regionale per regolare diversamente le cose, o una decisione del Consiglio di Presidenza dell’Assemblea. Assumersi la responsabilità delle cose come stanno, non è facile, né per i governi né per le opposizioni.

Se i privilegi dei Palazzi del parlamento romani sono difficile da ingoiare, quelli dell’Assemblea regionale, ottenuti di seconda mano e senza una reale giustificazione, sono una specie di malattia esentematica del sistema politico: si deve prendere di legislatura in legislatura e non c’è niente da fare.

Nelle tre assemblee legislative italiane accade un fenomeno su cui nessuno ha finora mente locale: coloro che fanno le leggi, cioè impongono regole ai cittadini, agli enti, le aziende, persone giuridiche e privati, non valgono per loro. I deputati regionali e nazioni ed i senatori decidono quello che vogliono per gli altri, ma le loro leggi restano fuori dalle stanze del Parlamento.

Mentre fuori le mura si stringe la cinghia, nei Parlamenti gli aumenti corrono su corsie preferenziali. Le regole in materia di organizzazione del personale e trattamento dei parlamentari, non vengono decise con leggi della Repubblica da da provvedimenti del consiglio di presidenza di ogni Camera. Se ci sono delle diversità fra le scelte del Consiglio e la legge della Repubblica, è questa a farsi da parte, non il provvedimento del Consiglio di Presidenza.

Il Parlamento, dunque, è una piccola Repubblica nella Repubblica, con le sue consuetudini, le sue leggi, le sue regole.

Eppure, dovrebbe venire proprio dai luoghi in cui si fanno le leggi, il modello da seguire. Chi fa le leggi deve rispettarle, non può derogarvi, altrimenti chiunque si sente in dovere di fare ciò che vuole.

Le leggi vanno rispettate, sempre e comunque, anche quando non ci piacciono. Se è vero che la corsia preferenziale è legittima, è altrettanto vero che la diversità, così marcata, è un pugno nello stomaco per chi si arrabbatta dalla mattina alla sera nel tentativo, spesso inutile, di sbarcare il lunario.

Certo, ai deputati nazionali e regionali e i senatori non devono essere lesinate le risorse per tante buone ragioni, e a coloro che li aiutano a fare le leggi deve essere riconosciuto un trattamento speciale ma ciò che avviene è molto di più di un occhio di riguardo, provoca indignazione e non fa amare i luoghi della democrazia.

Quanto all’Assemblea siciliana, visto com’è andata finora – la pagella del Palazzo siciliano è piena di brutti voti – c’è chi ritiene che si possa fare a meno di questa mosca cocchiera abbarbicata sul groppone dei contribuenti. I più cattivi ne parlano, con eccessiva severità, come della Repubblica di Franceschiello.

Franceschiello non è passato alla storia per il suo ingegno e il buon governo. Non riuscì a guadagnarsi una buona immagine, seppure non fosse né meglio né peggio degli altri. Il suo regno sgangherato non l’aveva certo fatto lui, se l’era trovato così. L’avevano fatto i suoi predecessori e i dignitari, i cortigiani, quelli che stavano attorno ai potenti del Regno. Anche il popolo minuto aveva la sua parte di responsabilità, ma che poteva farci? Non era il popolo a scegliere il suo re né i dignitari che governavano insieme con lui, a differenza di oggi.

Se il popolo minuto va assolto, i dignitari, no. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, ma le cose stanno così: i privilegi dei parlamentari poggiano sulle competenze e il lavoro dei dignitari. Essi eseguono le direttive dei parlamentari, ma qualche volta, suggeriscono, ed usano la loro intraprendenza per rendere più confortevole possibile la permanenza dei re e questo viene generosamente ripagato.

Accade più o meno la stessa cosa oggi.

Quando aumentano gli stipendi dei parlamentari, aumentano gli stipendi del personale. L’automatismo in sé fa arricciare il naso, ma ciò che scandalizza è la misura dei privilegi. Per esempio il ragioniere della Camera dei Deputati guadagna di più del Presidente della Repubblica, il barbiere più di un cattedratico.

Il ragioniere di Montecitorio ha uno stipendio di quasi 20 mila euro in più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con i suoi 237 mila 560 euro lordi annui (rivalutati ogni 12 mesi) maturati dopo 35 annidi servizio. Gli stenografi del Senato sono 60 in tutto e redigono i resoconti dei lavori dell’aula e delle varie commissioni: all’apice della carriera il loro stipendio arriva a 253 mila 700 euro lordi l’anno. Più del presidente Napoletano, ma anche più del capo del governo Silvio Berlusconi che, tra indennità parlamentare (145 mila 626 euro), stipendio da premier (54 mila 710) e indennità di funzione (11 mila 622), arriva a 212 mila euro lordi l’anno.

 

Ministri come Frattini (Esteri), giudagnano 189 mila 847 euro, Giulio Tremonti (Economia) , 203 mila 394 euro lordi. Cifre molto lontane da quelle concesse agli stenografi del Senato e al ragioniere di Montecitorio. Gli stipendi dei segretari generali di Senato e Camera fanno mordere la polvere a chiunque, perché a fine anno mettono in tasca rispettivamente 485mila e 483 mila euro lordi.

 

Per questa ragione il parametro del Senato è il Santo Graal di Palazzo dei Normanni. E chi pretende trasparenza sull’attività e le decisioni del Palazzo è considerato una minaccia per la sopravvivenza… della democrazia

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