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SCUOLA: GELMINI METTE IN SALDO L’ISTRUZIONE

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 E’ Settembre, si chiudono gli ombrelloni e si ritorna su banchi, non solo quelli di scuola ma anche quelli di Montectorio. La stagione autunno-inverno 2008 del governo Berlusconi IV si apre, come nelle riviste gossippare e modaiole che vengono date in allegato ai suoi giornali, con il tema scuola e con un decreto legge sul famigerato 7 in condotta. La Silvio’s Angel Mariastella Gelmini ha infatti aperto oggi le danze del consiglio dei Ministri reintroducendo il peso del voto di condotta – per contrastare il bullismo? – ed esponendo quella che sarà la nuova riforma scolastica, l’ennesima in soli tre lustri. La sua creatura, detta anche piano programmatico per la razionalizzazione della scuola, è stata illustrata in anteprima alla platea comunicante e liberante del meeting di Rimini lo scorso mercoledì ed ha raccolto il plauso degli astanti: l’avvocato Gelmini ha avuto l’intuizione – che solo la vendita della scrivania di Quintino Sella può spodestare in merito a creatività – di convertire le scuole pubbliche, primarie o secondarie che siano, in fondazioni sul modello degli atenei ovvero istituti che di pubblico hanno solo la dicitura e che di fatto si finanziano attraverso rette, sponsorizzazioni e generose donazioni private.Praticamente un suicidio, soprattutto per le scuole del sud, considerate dal ministro e dai soci in fazzoletto verde sostanzialmente degradanti e imbarazzanti per lo standard dell’istruzione italiana: “La scuola deve alzare la propria qualità abbassata dalle scuole del sud”, questo il giudizio della Mariastella invitata a un dibattito in quel di Cortina. Com’è ovvio l’affermazione è stata immediatamente ritrattata, Silvo docet. Non paga del suo estro, il ministro ha poi accennato a quello che, se il disegno di legge passerà alle Camere, sarà il nuovo metodo di reclutamento degli insegnanti. Abolire i concorsi – troppo statali per la scuola statale – e puntare verso le assunzioni a chiamata, calpestando bellamente quell’articolo 97 della Costituzione che sancisce l’obbligatorietà del concorso per chi aspira a un posto nelle pubbliche amministrazioni. Si preparino perciò psicologicamente quei 342.000 precari iscritti nelle famigerate graduatorie a esaurimento, per loro la scuola potrebbe tornare ad essere solo un ricordo adolescenziale.

Quello che più preoccupa sono però gli ingenti tagli previsti dal decreto dell’economo creativo Tremonti. Dopo i 47 mila esuberi ordinati dal governo Prodi per il biennio corrente, altri 110 mila verranno tagliati tra insegnanti e cosiddetti Ata ( amministrativi, tecnici e ausiliari ) nel triennio 2009/2011. Per realizzare questo enorme colpo di spugna, si stanno già escogitando soluzioni che faranno discutere, come il maestro unico alla scuola elementare o l’accorpazione di classi fino a 33 alunni – in barba al modello british che tanto piace e che impone classi ridotte per favorire l’apprendimento e combattere la dispersione – ma il jolly resta come sempre la scuola privata. Per esaudire le previsioni del duo Gelmini-Tremonti sarebbe infatti necessaria una contrazione della popolazione scolastica di circa 600.000 unità; siccome i metodi di Erode paiono rozzi anche a questi filistei, l’unica soluzione plausibile sarebbe quella di far trasmigrare circa un decimo dei nostri studenti verso la scuola privata, oggi chiamata parificata ma in sostanza ultimo baluardo dell’educazione cattolica. L’inquilina di palazzo della Minerva è infatti una ferma assertrice dell’utilità delle scuole paritarie: “Le famiglie italiane hanno il diritto di rivolgersi a percorsi educativi con specifiche connotazioni, cui la scuola paritaria può fornire risposte adeguate – ha spiegato il ministro – il risparmio per l’erario determinato nell’anno corrente dall’esistenza di queste libere iniziative è di circa 5 miliardi e mezzo, a fronte di un contributo di circa 500 milioni di euro”.

Non dimentichiamo infatti che sia le scuole che le famiglie degli studenti “privati”, oltre che essere pubblicamente elogiate del Santo Padre in persona, vengono abbondantemente sovvenzionate dall’esiguo budget pubblico, in totale controtendenza rispetto alle regole dell’attuale morente mercato. Ma siamo in Italia. A riprova poi che la scuola italiana sta diventando un parcheggio a pagamento per i genitori, Mariastella Gelmini ha decretato l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Sebbene questa a suo dire non sia una priorità del suo ridisegno scolastico, il famigerato pezzo di carta rappresenta ancora una delle chiavi preferenziali per accedere al mondo del lavoro, soprattutto se si parla di professioni ordinate come la medicina, la giurisprudenza o lo stesso giornalismo. Se anche questo articolo dovesse essere – e con tutta probabilità sarà – approvato, la valutazione del valore dei titoli verrà affidata – come negli States – al mercato e non allo Stato e per i giovani che già immaginano un futuro da precari, non rimarrà nemmeno quest’esile appiglio del pezzo di carta.

Ma se anche dallo sterco può nascere un fiore, ecco la reintroduzione dell’educazione civica nei programmi scolastici. Si chiamerà “educazione alla cittadinanza e alla Costituzione” e comprenderà anche l’educazione stradale: “Pensiamo che la scuola – ha spiegato la Gelmini – debba mettere al centro la persona, quindi aiutare i ragazzi a essere cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri”.

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