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E’ nata una nuova categoria di politici, il Ministro frainteso. Dice una cosa e gli addebitano altro

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La Ministra, o il Ministro, esprime la sua visione di scuola davanti ad una platea attenta, i giornalisti annotano – come d’uso – frasi, parole, atteggiamenti e gesti – e scrivono. I loro racconti finiscono nelle pagine dei giornali, ben titolati. A questo punto qualcosa s’inceppa, il Ministro legge che cosa scrivono i giornali, che cosa dicono i telegiornali e la radio, e s’arrabbia. Le critiche sono feroci, i suoi impegni snobbati, le sue competenze messe in discussione. Ma che hanno capito, questi qui, pensa. Mi hanno messo in bocca c ose che non ho detto. Non ha dubbi, le critiche sono infondate, le parole travisate, le opinioni fraintese. Allora mette in moto il suo staff, chiama la televisione di Stato, ordina una nota di smentita da diramare a tutte le agenzie di stampa. Per affermare che cosa? Che si sono sbagliati tutti quanti, non voleva dire ciò che gli (o le) è stato fatto dire.

Non sempre, tuttavia, la sconfessione di se stesso è spontanea. Capita, assai di frequente invero, che  qualcuno, magari molto autorevole, fa notare al Ministro o alla Ministra di avere affermato solenni cazzate, che esse potrebbero danneggiare il governo e minare i consensi faticosamente raccolti dal partito o dalla coalizione. Insomma, bisogna correre ai ripari, e subito.

Risultato: i giornalisti non hanno capito niente.

Sono innumerevioli gli episodi d’incomprensione. I Ministri e i leaders vengono interpretati sempre malamente. Astio, malanimo, trappole? Tutto questo ed altro: i giornalisti non capiscono più niente. Ma com’è possibile che il fenomeno si ripeta così spesso e che l’icomprensione coinvolga tanta gente che solitamente è in grado d’intendere e di volere? Mistero.

Ma che cosa avviene quando il Ministro o la Ministra smentisce? Pare incredibile, ma chi ascolta o legge, crede che sia stata carpita la sua buona fede. Lettori e spettatori “orientati” non cambiano idea, s’intende, ma gli altri, gli spiriti liberi sono propensi a dare ragione alla “vittima”. Una circostanza che meriterebbe di essere studiata con attenzione in maniera che l’informazione rifletta su se stessa e la credibilità perduta. Stare in coda ai politici, in fatto di credibilità, infatti non è roba da poco.

La comunicazione non è una scienza esatta perché subisce umori,  emozioni, circostanze varie. Parte bene e arriva male, o viceversa. Non c’è niente da fare.

L’ultimo episodio riguarda il Ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini.

Le avrebbero fatto dire che alcune regionio del Sud guastano l’immagine della scuola italiana e che andrebbero organizzati in tutta fretta dei corsi intensitivi per gli insegnanti di quei territori. Se gli alunni ne sanno molto meno degli altri – è questa l’equazione – vuol dire che i prof siciliani pugliesi, lucani e calabri, non sanno fare il  loro mestiere.

L’enormità della tesi lascia increduli, ma l’unanimità dei giornalisti nell’incomprensione induce a ritenere che sia il contrario, che la Ministra abbia fatto credere proprio ciò che è stato riferito, magari non volendolo. Se fosse così, che la Ministra ha “creduto” di dire il contrario di ciò che le hanno fatto dire, sarebbe peggio: significa che la Ministra non padroneggia la lingua e che un corso intensivo non farebbe male nemmeno a lei.

Siccome, tuttavia, non è la prima – né l’ultima – ad essere fraintesa, non è il caso d’infierire: le sciocchezze dei rappresentanti delle istituzioni non si contano. Un giorno propongono i fucili, il giorno dopo giudici golpisti, meridionali che invadon o la scuola del nord, federalismi che diminuiscono le tasse e regalano servizi che funzionano a chi non ha quattrini, l’altro ancora scoprono che i delinquenti si trovano quasi esclusivamente nei campi rom o hanno la faccia dei sopravvissuti ad una fuga dalla fame e dagli eccidi del loro Paese. 

Le sciocchezze non hanno colore politico, sono tali e basta. Quando passano indisturbate bisogna però preoccuparsi, vuol dire che il senso critico è venuto meno o si sta indebolendo in modo inquietante. 

 

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