29.8.2008-Per i 16 azionisti della nuova Alitalia ci sarà un lock-up di cinque anni. Prima del 2013 non potranno vendere le loro azioni e uscire dalla compagnia. È lo statuto della nuova società a stabilirlo. Prima di allora i soci della cordata tricolore contano però di cominciare a fare profitti: se il Progetto Fenice, definito dall’advisor del Governo Intesa Sanpaolo andrà in porto e centrerà tutti i suoi obiettivi, la nuova Alitalia, ripulita di debiti ed esuberi, tornerà all’utile già nel 2011, cioè fra tre anni e punterà a raggiungere un ebit di circa 250 milioni su un fatturato di 5 miliardi di euro nel 2013. Sono due ma non le uniche novità che emergono dall’ultimissima versione del Progetto Fenice.
Ma perché l’intera operazione di salvataggio e di rilancio di Alitalia vada realmente in porto ci sono ancora molte incognite da superare e ci sono diverse condizioni che i nuovi azionisti pongono come tassative per il loro investimento. La prima condizione, e anche la più importante benché non l’unica, ricalca in parte quella già avanzata da Air France nella precedente ipotesi di salvataggio e cioè: senza il preventivo accordo sindacale tutto il progetto decade e non se ne fa più nulla. Proprio la mancanza del consenso sindacale fu la causa principale, ancor prima che scattasse l’offensiva berlusconiana contro il progetto di accordo con Air France immaginato dal Governo Prodi, del fallimento del vecchio piano di salvataggio e questo basta e avanza per segnalare la delicatezza del passaggio sindacale per la fattibilità dell’intero Progetto Fenice.
Essenziale, anche se non è una conditio sine qua non, è anche la definizione di un accordo, che non potrà essere solo commerciale ma industriale e forse azionario, con un partner internazionale come Lufthansa o di nuovo Air France. Ed essenziale è anche la tempistica perché tutta l’operazione ha margini stretti e l’obiettivo è far decollare l’operatività della nuova compagnia dal primo novembre prossimo.
È vero che i tempi e il contesto economico e politico rispetto al progetto del governo Prodi sono cambiati e che, allo stato, l’unica alternativa al Progetto Fenice è il fallimento di Alitalia, ma rispetto alla originarie richieste di Air France ai sindacati c’è ora qualcosa di più e di più circostanziato: non solo il via libera al piano ma il via libera alla riduzione delle attività e del personale dell’Alitalia di oggi e l’adozione di nuovi contratti di lavoro.
Ci sarà tempo per formulare giudizi di merito sul nuovo piano per Alitalia e bisognerà convincersi a distinguere la valutazione industriale da quella politica ma la base di partenza non può essere che l’esatta conoscenza dell’intera operazione. Ecco dunque, in sintesi, i reali contenuti – con non poche novità – del progetto Fenice come escono dalle 300 pagine che lo compongono.
Nuovo campione nazionale
L’obiettivo del Progetto è una soluzione imprenditoriale per Alitalia che porti alla creazione – attraverso «l’integrazione di parte delle attuali attività di Alitalia con Air One» – di un campione nazionale con alleanze strategiche internazionali, che sappia stare sul mercato e che rappresenti una «forte discontinuità con il passato» attraverso l’amministrazione straordinaria, il commissariamento e la divisione in due della vecchia compagnia. Per realizzare questo obiettivo il Progetto suggerisce: un «modello di business sostenibile nel medio-lungo periodo, disegnato e tarato su una congiuntura di mercato difficile»; il completo rinnovamento della flotta, della struttura del personale, della compagine societaria e della cultura aziendale di Alitalia; un’opportunità di investimento ai nuovi azionisti «con ritorni adeguati nel medio e lungo periodo»; la possibilità di contribuire allo sviluppo del Paese e alle esigenze di chi viaggia in, da e per l’Italia.
Discontinuità aziendale
Il progetto proposto ha cinque caratteristiche fondamentali che partono dal presupposto della netta discontinuità da realizzarsi con il commissariamento della vecchia compagnia, che metterebbe i nuovi azionisti al riparo da possibili rivalse di fornitori, creditori, vecchi azionisti e obbligazionisti: a) un nuovo perimetro aziendale composto dall’«aggregazione delle attività valorizzabili di Alitalia e Air One»; b) una rifocalizzazione della strategia mirata al consolidamento sul mercato naturale del breve-medio raggio e alla definizione di «forti accordi di partnership con uno dei tre mega-carrier europei» (Ba, Lufthansa e Air France ma realisticamente orientata agli ultimi due); c) un nuovo modello di network non più basato sugli hub (nè Fiumicino nè Malpensa lo saranno) ma «punto-punto sul breve raggio con quote dominanti nei principali aeroporti serviti mediante un decentramento delle attività su sei basi operative» e l’efficiente copertura del mercato del lungo raggio da e per l’Italia «anche attraverso un accordo forte con un partner internazionale»; d) il rinnovamento del management scelto e provato «nel campo delle ristutturazioni aziendali» come è già avvenuto con Roberto Colaninno e Rocco Sabelli; e) un assetto proprietario nuovo di zecca e «guidato da primari investitori privati italiani» per la nuova compagnia dalla quale lo Stato sarà completamente fuori.
Quattro linee di intervento
Per realizzare il piano industriale della nuova Alitalia il Progetto Fenice individua quattro aree di intervento fondamentali:
1) l’integrazione del primo e secondo operatore aereo nazionale (non tutta l’Alitalia di oggi ma solo i suoi asset risanabili più Air One) e la creazione di un modello operativo a basi per raggiungere «una forte leadership sul mercato domestico» attraverso un ribilanciamento dei voli a favore di Milano su Roma e di Malpensa su Linate (dove dovrebbero restare solo i voli per e da Roma);
2) un accordo di partnership internazionale con una delle maggiori compagnie europee che dovrà essere industriale e potrà nel tempo essere rafforzato da accordi azionari;
3) il drastico snellimento del perimetro aziendale e il netto incremento della produttività in modo da raggiungere una struttura di costo in linea con i principali concorrenti: il che significa, tradotto in cifre, che sul costo del lavoro si punta a risparmiare nel tempo 350 milioni annui sia attraverso una riduzione della attività e del personale che attraverso contratti di lavoro meno onerosi. Da questo dipenderà l’esatto numero degli esuberi (che dovrebbero orientativamente oscillare attorno ai 6mila) che il piano non quantifica perché è una variabile dipendente dagli obiettivi di costo e che richiederanno l’attivazione di tre ammortizzatori sociali già previsti dalla normativa (la Cig, la Cig speciale e la mobilità);
4) nuovi contratti di lavoro in funzione di un adeguato modello di relazioni industriali.
Condizioni e incognite
Il decollo della nuova Alitalia è però tassativamente subordinato a quattro condizioni pregiudiziali che sono, anzitutto, l’accordo sindacale sul dimensionamento di attività e organici e sui nuovi contratti di lavoro e, inoltre, il trasferimento alla nuova compagnia del perimetro di attività e di patrimonio previsto dal Progetto, la possibilità di ottenere il Coa (la certificazione dell’ente di sicurezza del volo) e il mantenimento di tutti i diritti di volo di Alitalia, di Air One e di tutte le controllate e la deroga antitrust sul mercato domestico da parte delle autorità nazionali ed europee. Accanto a queste condizioni il Progetto indica però altri requisiti, non tassativi ma essenziali, per il piano: la necessità di definire un forte accordo con un partner europeo, una regolamentazione ad hoc per Linate e un accordo con le società aeroportuali. Le incognite comunque non mancano e il Progetto non ne fa mistero, con l’occhio alla reale possibilità di incrementare la produttività del personale, di rinegoziare gli accordi con i principali fornitori, di ottenere sgravi e contributi alla mobilità per il personale ex AZ Alitalia e naturalmente con l’occhio al peggioramento della congiuntura economica e al difficile trend del trasporto aereo.
Se si farà, questa è la base di partenza della scommessa sulla nuova Alitalia.sole24ore