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La scuola? Durerà di meno

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Non manca molto perché inizi l’anno scolastico e al ministero si lavora a pieno ritmo per dare vita alla rivoluzione-Gelmini. Il primo passo sarà ridurre l’orario delle lezioni, non in modo generalizzato ma diverso a seconda degli indirizzi di studio. E quindi parametri differenti verranno usati dagli esperti del ministero a seconda che si tratti di licei o, ad esempio, di istituti tecnici perché si è capito, analizzando quanto accade in altri paesi europei, che la scuola può anche durare meno ma essere più efficiente. 

Il ministro ha chiesto di modificare anche il «sistema di reclutamento degli insegnanti». «Oggi – spiega Mariastella Gelmini – gli insegnanti sono sottopagati ed i loro avanzamenti di carriera sono legati all’anzianità». Da qui la necessità di «rivedere il reclutamento», ma anche di «garantire la continuità didattica agli studenti, a prescindere dalla provenienza degli insegnanti». Infine, si proverà a trasformare gli istituti pubblici in fondazioni all’insegna dell’autonomia, per dare alle famiglie la possibilità di scegliere nel modo migliore e agli istituti di trovare soluzioni più semplici nei meccanismi di autofinanziamento.
Sono i primi tasselli della rivoluzione-Gelmini del sistema scolastico: obiettivo finale è la riduzione del personale che rappresenta il 97% della spesa come appare dal bilancio che il ministro dell’Istruzione Gelmini ha voluto mettere in rete sul sito del ministero. 

I dirigenti del ministero stanno studiando i dettagli di questo che il ministro dell’Istruzione ha definito «un piano programmatico per la razionalizzazione». Sarà pronto nel giro di due settimane e sarà una proposta che «prima verrà presentata alle Camere poi alle commissioni competenti», ha annunciato Mariastella Gelmini precisando che si tratterà di un «piano corposo che coniugherà l’applicazione della finanziaria con la riforma di alcuni aspetti della scuola». Il ministro ha creato anche un «ufficio della semplificazione»: il tentativo sarà di avvicinarsi ai modelli europei dove «investono meno risorse ma in modo migliore, anche con meno ore di lezione ma funzionano meglio».
Nel frattempo, durante il consiglio dei Ministri di oggi si discuterà del decreto legge del ministro che prevede l’introduzione del voto in condotta che andrà a fare media con le altre materie e dello studio della Costituzione come nuova materia. 

Mentre il ministro Gelmini prepara la sua rivoluzione, la scuola che si apre a settembre porterà già da sola alcune novità come il numero di studenti stranieri che ha superato il mezzo milione già da due anni scolastici, e nell’annata 2007/2008 ha sfiorato quota 600 mila: 574.133 alunni, pari al 6,4% del totale, il 14,5% in più rispetto allo scorso anno. Secondo una previsione del Ministero della Pubblica Istruzione, tra pochi giorni fra i banchi siederanno 614 mila ragazzi stranieri, mentre nell’anno scolastico 2010/2011 potrebbero essere fino a 750 mila (8,3%). 

La maggiore presenza si registra nelle scuole primarie (217.716, pari al 7,7%). Nelle secondarie di primo grado (scuole medie), il dato scende al 7,3% (126.396 alunni). Seguono a ruota le scuole d’infanzia, con il 6,7%, mentre le secondarie di secondo grado (scuole superiori) si fermano al 4,3%. Le nazionalità più rappresentata è la rumena (93 mila studenti). 

Numeri che non preoccupano il ministro. «Non credo sia un problema di tetto o di numero di alunni per classe: bisogna dare agli studenti immigrati la possibilità di conoscere bene la lingua italiana» perché «la scuola possa e debba essere l’istituzione che possa meglio favorire l’integrazione». 

Le conseguenze di questa presenza sempre più massiccia di immigrati all’estero sono il sorpasso in matematica e scienze. Una tendenza che si inizia a notare anche in Italia, conferma Piergiorgio Odifreddi, docente di Logica Matematica all’Università di Torino: «Gli asiatici primeggiano nelle facoltà scientifiche degli atenei pubblici». I motivi sono molti: «La matematica non è un prodotto della cultura europea», spiega Odifreddi ma c’è anche la voglia di «compensare le difficoltà che si hanno con le materie linguistiche».

 

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