«Governo rivoluzionario, la scuola non sia fabbrica di stipendi». Il ministro: i tagli ci sono
DAL NOSTRO INVIATO
PONTE DI LEGNO (Brescia) – Mariastella Gelmini? «Ona brava tosa. Ma in un governo rivoluzionario bisogna essere rivoluzionari». Umberto Bossi è arrivato a Ponte di Legno, il suo tradizionale ritiro ferragostano all’ombra dell’Adamello in compagnia della famiglia, inclusa la moglie Manuela Marrone. E guardando fuori dalle vetrate dell’hotel Mirella, succhiando l’immancabile toscano, il capo leghista ragiona sui temi della ripresa autunnale. Il primo è proprio la scuola, su cui da un paio di mesi torna con insistenza. Il leader lumbard sembra aver sposato in pieno la tesi di Giulio Tremonti: e cioè, che il tempo della gradualità sia finito. «Se uno fa parte di un governo rivoluzionario, non può esser sempre lì a chiedere i soldi al Tesoro. Bisogna trovare nuove strade. Bisogna inventare. Bisogna tagliare».
Non più le teste, magari, ma certamente i posti di lavoro non giustificati: «Troppi stipendi — sbuffa Bossi —. Bisogna decidere se la scuola è una fabbrica di stipendi per gli insegnanti oppure è al servizio delle famiglie». Da viale Trastevere, Mariastella Gelmini se ne dice «perfettamente consapevole, come testimonia ciò che ho detto di fronte alle Camere e in parecchie interviste». Tra l’altro, i tagli son già previsti nel decreto 112, e neppure blandi… «Sì — ribatte Bossi – ma è così che deve essere. Inutile aspettare». Poi, torna a un altro tema caro a lui e a Tremonti: «Le tre maestre non servono. Anche per i ragazzi è meglio un solo punto di riferimento».
Gli strali non riguardano solo la pubblica amministrazione: «Ogni anno i libri cambiano, per una famiglia sono una bastonata. Devono rimanere gli stessi per almeno cinque anni». I toni bellicosi nei confronti del resto della coalizione, sfoderati nell’uscita pubblica di Pontida, sembrano, almeno per il momento, rientrati: «Il federalismo fiscale si farà. Nessuno può più sostenere la vergogna della spesa storica, chi più spende più riceve. È insostenibile». Ma anche in quel caso, si tratta di carne viva, di stipendi, di consenso. Non sono prevedibili fuochi di sbarramento serrati? Umberto Bossi scuote la testa: «Il principio è che se un certo lavoro costa dieci a Milano, deve costare dieci anche a Palermo. Se per qualcuno costa di più, la differenza è a carico suo. Come si fa a sostenere che non è giusto?». In ogni caso, per il federalismo è in arrivo una sorta di roadshow al Sud: «L’ultima parola sul federalismo fiscale la scriveremo in Puglia, penso in settembre, è Raffaele Fitto che sta organizzando tutto». L’evento potrebbe prevedere una tappa anche in Abruzzo.
Con Tremonti, peraltro, il feeling sembra più saldo che mai: il ministro all’economia nei prossimi giorni dovrebbe raggiungere Bossi a Ponte di Legno, mentre la presenza di entrambi i ministri è prevista alla festa nazionale del Pd di Firenze. Un pensiero, infine, va anche al consiglio d’amministrazione dell’Expo 2015: «Vorrei ci entrassero tutti presidenti delle province lombarde». E già che si parla di scuola, Bossi dà i voti al governo: «Sette meno. Però resta un governo che ha fatto molto. La Lega merita un sette pieno». Mentre a Silvio Berlusconi dà un «otto e mezzo per come ha pulito la Campania. È andato lì due volte alla settimana e ha risolto la situazione». Ma il leader leghista è di buon umore e si vede: a Edolo addirittura segna il tempo sull’inno nazionale suonato dalla banda dei carabinieri. da il corriere della Sera
Marco Cremonesi
15 agosto 2008