Giudizi unanimi dai Confederali fino ai Cobas: non c’è concorrenza tra prof del Nord e del Sud perché senza questi molti posti rimarrebbero vuoti. Aspro il giudizio di Francesco Scrima, Cisl, che parla di singolarità della situazione familiare del leader leghista che vede presenti la “vittima” (il figlio bocciato) e il “carnefice” (la moglie, insegnante del Sud). Da La tecnica della scuola
Le accuse del Ministro delle Riforme Umberto Bossi sugli insegnanti del Sud, stanno scatenando polemiche e reazioni di dissenso: del resto non poteva essere altrimenti, visto che mai in passato il Senatur si era occupato così appassionatamente di scuola. “A dire il vero – ha commentato Alba Sasso (della Sinistra democratica e vice-presidente della Commissione Cultura al Senato durante l’ultimo governo Prodi), non è la prima volta che il ministro della Repubblica Umberto Bossi si rivolge con toni accesi nei confronti degli insegnanti del Sud, ma la virulenza con cui è stato fatto stavolta direi che sia da stigmatizzare perché incita all’odio etnico”.
Tra le parole del leader del Carroccio che hanno fatto maggiore scalpore figurano senza dubbio quelle rivolte agli insegnanti del Sud che operano nelle scuole “padane”, bollati genericamente come “ignoranti della nostra cultura del Nord”. Il ministro ha successivamente rincarato la dose sostenendo anche che i laureati del meridione aspiranti insegnanti emigrando al Nord toglierebbe posti di lavori ai colleghi “padani”. I numeri parlerebbero a favore del Senatur, visto che più del 60% dei docenti italiani ha origini meridionali.
Ma il punto è un altro. “Quelle di Bossi sono dichiarazioni spinte da una follia separatrice che non meritano nemmeno repliche per la loro infondatezza – sostiene Volfango Pirelli, della segreteria nazionale Flc-Cgil -: non c’è alcuna concorrenza dei docenti del Sud con quelli del Nord perché prima di tutto questi ultimi sono numericamente pochi. Nel settentrione – continua Pirelli – i giovani preferiscono approdare al lavoro, spesso in fabbrica, molto prima che al Sud. Dove invece non ci sono molte alternative: prima si dedicano allo studio, non a caso ci sono molti più laureati, e poi emigrano per trovare lavoro costretti dalla carenza di opportunità. La verità è che a molti dei neo-laureati del Nord non interessa insegnare principalmente perché è economicamente più appagante lavorare nel privato”.
Anche secondo Alba Sasso bisognerebbe piuttosto indagare sul perché ci sia un numero così alto di insegnanti del meridione che si spostano al Nord: “questo avviene – sostiene l’esponente dalla Sd –perché gli stipendi che offre la scuola sono inferiori a quelli che vengono dati a laureati impiegati in altri comparti. Lo Stato dovrebbe chiedersi perché ciò accade”.
Secondo Francesco Scrima, segretario della Cisl Scuola, “nessun docente in qualsiasi scuola operi e qualsiasi sia la sua provenienza geografica si è mai permesso di ‘martoriare’ gli alunni affidatigli, lasciandosi condizionare in sede di valutazioni da elementi estranei alla considerazione dei risultati da ciascuno raggiunti: la scuola e la condizione professionale degli insegnanti – ha continuato Scrima – sono questioni troppo serie e cruciali per i destini della nazione perché se ne possa parlare con la superficialità e la finta leggerezza di una boutade che rischia di minare l’unità nazionale per la cui realizzazione la scuola ha fornito un prezioso e insostituibile contributo”.
“Chi reclama che alle Regioni del Nord l’insegnamento venga affidato esclusivamente a docenti di quelle stesse aree territoriali – continua il leader Cisl Scuola – dovrebbe coerentemente pretendere, e nulla esclude che siano intenzionati a farlo, che lo stesso criterio ‘autoctono’ venga esteso ai carabinieri, alla polizia, ai magistrati che, come i docenti, assicurano servizi fondamentali costituzionalmente garantiti”. Ma in questo caso “saremmo al parossismo istituzionale”.
Velenoso il finale del segretario del primo sindacato della scuola per numero di deleghe: “ci sia consentito – a sua unica “attenuante” e sperando di non incappare nella censura del Garante della Privacy – sottolineare la singolarità della situazione familiare del leader leghista che vede al suo interno contemporaneamente presenti la “vittima” (il figlio bocciato) e il “carnefice” (la moglie, insegnante del Sud)”.
Ma i sindacati temono che dare troppo peso alle “uscite colorate” di Bossi si possa distogliere l’attenzione su argomenti prioritari. “Come sulla Finanziaria – dice Piero Castello, della segretaria nazionale dei Cobas – che vuole tagliare 100.000 posti da insegnante e 40.000 Ata: una politica che porterà ad un aumento di studenti per classe tale che un docente potrebbe ritrovarsene davanti fino a 36. Per non parlare dell’attacco a sistemi didattici collaudati e vincenti come il tempo pieno alle elementari”.
“Questa gestione della scuola – continua il sindacalista Cobas – è conseguente alle cialtronaggini perseguite dai vari ministeri dell’Istruzione negli ultimi anni. Ed ora stiamo toccando il fondo: è chiaro che c’è interesse a far degradare la scuola pubblica con soluzioni che sul fronte dei docenti vogliono portare ad assumere docenti senza più graduatorie ma direttamente dai presidi”. Castello di Bossi non vuole quasi parlare: “posso dire solo che la formazione e preparazione dei docenti è la stessa, quindi omogenea, in tutto il Paese”. Anche perché, è il caso di aggiungere, la maggior parte degli insegnanti catalogati come “terroni” raggiungono il Centro-Nord ancora poco più che ragazzi. Spesso hanno appena intascato il diploma: e sempre sopra il Po si formano come professori facendo supplenze, concorsi o frequentando le scuole di specializzazione. E se non ci fossero loro sarebbero davvero guai perché le scuole non saprebbero davvero a chi affidare le tante cattedre vuote