Malattia e visite fiscali. di Michele Borello (avvocato)* 14.7.2008.
La recente modifica dei tempi di disponibilità per le visite fiscali dei dipendenti pubblici in malattia pone problemi di carattere giuridico. Si prescinde qui dalla nota giurisprudenza che ha stabilito la prevalenza sulla legge ordinaria del contratto collettivo nelle materie attribuite a quest’ultimo.
Si vuole soltanto capire la liceità in astratto della norma che dispone una reperibilità di ben settantasette ore settimanali per la visita fiscale.
Per far ciò cominciamo a capire in che consiste l’obbligo di disponibilità per le visite fiscali.
Il dipendente deve avere anzitutto una propria abitazione, dove poter ricevere visite, attrezzata con un campanello esterno. Tale abitazione deve essere minimamente dignitosa per poter fare entrare un estraneo quale il medico di controllo. Qualcuno poi deve aprire la porta al medico di controllo. Il dipendente malato deve essere in grado di compiere da sé questa operazione oppure deve farsi assistere da una persona nelle ore di visita. Ma soprattutto il dipendente deve trovarsi all’interno della propria abitazione nelle ore di disponibilità per la visita.
Il lavoratore in malattia quindi non è esentato dalla prestazione lavorativa ma svolge la propria attività in altre forme, compatibili con il proprio stato morboso.
Le mansioni del dipendente in malattia sono confrontabili con quelle richieste al lavoratore reperibile passivo ovvero a quelle richieste al dipendente di guardia passiva.
Il reperibile passivo (cioè che non viene concretamente chiamato) deve infatti attendere una possibile chiamata del datore di lavoro per il caso di bisogno.
È facile capire però che la prestazione del reperibile passivo è di minore entità rispetto a quello del dipendente malato disponibile alla visita fiscale.
Il reperibile passivo può – portando con sé il cercapersona o il telefono cellulare – allontanarsi dalla propria abitazione e perfino dalla propria città, purché rimanga nei dintorni del luogo di lavoro.
Il reperibile passivo non deve attrezzare la propria abitazione per ricevere una visita e non deve farsi assistere per aprire la porta.
Il dipendente di guardia passiva è invece quello che si reca sul posto di lavoro per garantire un servizio per il caso di bisogno ma che concretamente non esegue la prestazione perché non ne sorge il bisogno.
È chiaro che la guardia passiva si avvicina di più alla prestazione del malato disponibile per la visita, poiché in ambedue i casi il dipendente deve rimanere in un luogo preciso (il luogo di lavoro o la l’abitazione, che è comparata al luogo di lavoro da molte disposizioni sul lavoro domiciliare e sul telelavoro).
La reperibilità e la guardia passive sono state equiparate all’orario di lavoro da due sentenze della Corte di Giustizia Ue del ’98 e del 2002 (cause Simap C-303/98 e Jaeger C-151/02).
Ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 89/391/CEE, f si intende infatti per “orario di lavoro” qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali.
Risulta chiaro che il malato disponibile per la visita fiscale è a disposizione del datore di lavoro per cui sta eseguendo una prestazione di lavoro come i dipendenti reperibili e di guardia.
L’art. 6 della direttiva 93/104 stabilisce la durata massima settimanale di lavoro, imponendo a un lavoratore di esercitare la sua attività per massimo 48 ore, comprese
le ore di straordinario. Ciò significa che, nel corso di ciascun periodo di sette giorni, il dipendente non può essere impegnato più di 48 ore, anche se questo periodo include servizi in cui il lavoratore, benché a disposizione, non svolge attività professionali effettive.
da aetnanet* Componente della direzione provinciale della Gilda di Milano.